Iran, l’impiccagione pubblica di Majidreza Rahnavard: l’orrore del regime in una foto

13 Dic 2022 8:55 - di Federica Parbuoni
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L’agenzia di stampa iraniana Mizan, che fa riferimento alla magistratura, ha diffuso la foto dell’esecuzione di Majidreza Rahnavard, il 23enne arrestato per le proteste contro il regime e condannato a morte con l’accusa di “moharebeh”, ostilità a Dio. La foto diffusa è, in realtà, un collage di quattro immagini, in cui quella del corpo di Rahnavard che penzola da una gru è ripetuta due volte. Le altre due sono di una folla che assiste e gli uomini delle guardie di sicurezza dell’Iran schierati per evitare che si avvicini. Rahnavard ha le mani e i piedi legati e la testa incappucciata. È evidente che la foto, nella sua atrocità e per il modo in cui è costruita, ha un preciso scopo intimidatorio. È possibile però che contribuisca ad accelerare un processo del quale si intravedono i primi segnali: l’apertura di crepe all’interno del regime.

La foto dell’esecuzione pubblica di Majidreza Rahnavard

La foto centrale del collage rilasciato dalla magistratura iraniana, nella quale si vede il solo Rahnavard penzolare da quella forca impropria che sono le gru, reca un versetto del Corano: «La ricompensa di coloro che muovono guerra ad Allah e al suo apostolo e cercano di provocare la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi o che vengano loro tagliate le mani e i piedi dai lati opposti, o che siano banditi dalla terra».

Tre ayatollah criticano le esecuzioni in Iran

Eppure rispetto a questa condanna a morte che non lascia scampo, tre ayatollah hanno mosso critiche esplicite. Fra loro c’è anche la voce dell’ayatollah Morteza Moghtadai, membro dell’Assemblea degli esperti ed ex capo della Corte Suprema dell’Iran. «Chiunque sia accusato di “muharebeh” non dovrebbe essere necessariamente giustiziato», ha avvertito, sottolineando poi che per l’islam quell’accusa si riferisce in maniera specifica alla guerra. Ma mentre si affaccia una flebile speranza che il sacrificio di Rahnavard e prima di lui di Mohsen Shekari (il ragazzo anche lui ventenne che è stato il primo giustiziato per le proteste) possa rivelarsi un grave errore per il regime, ciò con cui oggi ci si confronta è la ferocia del messaggio lanciato e che si teme possa essere replicato.

«Si tratta di un modo per intimorire la popolazione»

Rahnavard, ucciso nella sua città natale, Mashhad, è stato il primo giustiziato in pubblico da quando sono esplose le proteste. La modalità, quella dell’impiccagione tramite gru, è stata adottata raramente dal regime negli ultimi anni, ma sempre quando ha voluto dare un segnale di particolare durezza, per esempio di fronte alle contestazioni delle presidenziali del 2009 e del successivo Movimento verde. «Si tratta di un mezzo per intimidire la popolazione», ha commentato il portavoce del Dipartimento di Stato americano Patel, una delle innumerevoli voci occidentali che si sono levate contro il regime. Ad aggiungere orrore all’orrore c’è anche il fatto che nessuno aveva avvisato la madre dell’esecuzione del figlio, al quale aveva fatto visita il giorno prima, salutandolo con la speranza che venisse liberato. La donna è stata informata solo dopo la morte.

 

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