Segnali di pace ispirati dal gas tra Libano e Israele grazie alla mediazione di Francia e Usa

14 Ott 2022 10:32 - di Lorenzo Peluso

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

La linea di confine, ipotetico, tra Libano ed Israele, la blue line, si estende anche in mare. Un confine conteso, oggetto negli anni di scontri e soprattutto costantemente monitorato dai Caschi Blu dell’ONU. Questa necessaria premessa per provare a spiegare quanto possa essere importante il passo avanti, compiuto dai due Stati da sempre nemici. Un passo avanti in termini di relazioni diplomatiche spinto evidentemente dalla crisi energetica che ha costretto i due governi a trovare un accordo. I due Paesi contrapposti che neppure si parlano se non grazie all’intermediazione dell’ONU, al tavolo tripartito che si tiene di tanto in tanto a Naqura, sul confine meridionale del Libano, dove i rappresentanti dei due paesi si parlano grazie all’intermediazione del Force Commander dei Caschi Blu, finalmente hanno raggiunto un’intesa “storica”, spinta e caldeggiata dagli Stati Uniti, ma favorita anche dalla Francia che ha interessi nazionali, sui confini marittimi e sullo sfruttamento dei giacimenti di gas. Un patto che apre nuove prospettive di dialogo, questa è la speranza, ma in realtà nelle cancellerie europee, con poca certezza.

Tuttavia, l’accorso siglato dalle autorità di Tel Aviv e Beirut, sembra al momento dare soddisfazione ad entrambi i Paesi. Un lungo ed articolato percorso diplomatico, durato oltre due anni di negoziati, che ha portato finalmente ad un accordo che potrà mettere fine alla contesa su un’area di oltre 860 chilometri quadrati nel Mediterraneo, comprendente i giacimenti di gas di Karish e Qana. Ed è questo il vero motivo dell’intesa, garantire l’approvvigionamento di gas naturale da Karish per Israele e contestualmente un ristoro economico importante per le casse del devastato bilancio libanese. Contestualmente la compagnia francese TotalEnergies alla quale è affidata l’esplorazione del gas nelle acque libanesi verserà ad Israele una quota dei propri proventi, così come richiesto dagli israeliani a titolo di risarcimento per la concessione dell’esclusiva sul giacimento.

Quindi nelle ultime ore il proprietario del giacimento, Energean ha già provveduto ad inviare la sua unità galleggiante di stoccaggio e scarico “Energean Power” nell’area. Un’operazione necessaria con ulteriori margini di sviluppo, così come ha confermato anche il primo ministro israeliano Yair Lapid che ha affermato che: “non ci opponiamo allo sviluppo di un ulteriore giacimento di gas libanese, dal quale riceveremo naturalmente la quota che ci spetta”. L’intesa formalmente potrebbe essere siglata tra le parti il prossimo 20 ottobre. Tuttavia occorre prestare la giusta attenzione alle critiche arrivate dal capo dell’opposizione israeliana Benjamin Netanyahu, che ha definito l’accordo «una resa storica» agli Hezbollah che in giugno avevano minacciato attacchi nel caso in cui il giacimento fosse diventato operativo dopo che la compagnia Energean aveva già provveduto ad installare gli impianti a circa 70 chilometri dalle coste di Haifa per iniziare le attività di estrazione del gas.

In realtà con l’accordo è proprio il movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah ad essere stato messo all’angolo, fosse non altro perché, se l’accordo dovesse naufragare, dovrà giustificare ai cittadini libanesi il mancato apporto economico, enorme, nelle casse del fragile sistema economico libanese. Insomma un passo in avanti importante sul fronte della risoluzione finale, molto difficile in verità, che porti al superamento dell’inimicizia storia tra i due paesi confinanti, in stato perenne di armistizio dal 1948. di Lorenzo Peluso

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