Il discorso di Meloni cambia la politica. Ma a sinistra se ne accorgono solo Orfini e la moglie di Jovanotti

26 Ott 2022 12:14 - di Annamaria Gravino
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Tra Enrico Letta, che ha evocato la marcia su Roma, e Debora Serracchiani, che l’ha accusata di volere le donne un passo indietro agli uomini, i big del Pd, nel corso della discussione generale alla Camera sul discorso di Giorgia Meloni per la fiducia, hanno dato l’impressione di non aver capito esattamente cosa stesse succedendo. Ovvero che la giornata di ieri, per l’ennesima volta dalla data delle elezioni, ha confermato l’esistenza di un cambiamento sostanziale nella politica italiana. Si tratta di uno scenario desolante, come lo è l’idea che l’Italia debba essere condannata a non avere una sinistra – e quindi in questa fase una opposizione – senziente. Eppure qualche brandello di lucidità emerge anche da quelle parti, dove sparute voci si sono fatte sentire per avvertire che così non va. E rispetto alle quali, però, resta da capire prima di tutto se non siano strumentali in chiave interna e poi se troveranno ascolto.

Orfini: «O alziamo il ditino, dicendo ohibò, o riprendiamo a fare politica»

In particolare, è stato Matteo Orfini ad avvertire che «scandalizzarsi» perché il discorso di Meloni è stato «molto di destra» e «molto politico» significa «non aver capito cosa è successo: per la prima volta da tanti anni nasce un governo politico figlio di una chiara vittoria elettorale». «E quindi è del tutto naturale che chi lo guida faccia così. Su quei temi e su quell’impianto hanno vinto le elezioni. E prima di vincerle hanno costruito un senso comune diffuso nella società», ha sottolineato il deputato Pd in un post su Facebook, avvertendo che «oggi noi possiamo alzare il ditino e dire “ohibò, non è così che parla un presidente del Consiglio” e criticarla per essere stata troppo politica. Oppure ricominciare anche noi a fare politica. Non avendo paura di essere radicalmente alternativi. E di sfidarla su questo, sapendo che sarà lunga e difficile».

La richiesta di anticipare il congresso

L’analisi di Orfini si conclude con un Ps: «Nel ricominciare a fare politica rientra anche una considerazione tecnica: di fronte a questo governo che parte, immaginare che metterci 5 mesi a fare un congresso serva a rendere quel congresso più efficace significa non avere molto chiara la gravità della situazione». Anche per Stefano Bonaccini, a fronte di una destra che in un mese è partita con il governo, «un partito che ci mette sei mesi a scegliere un segretario temo non sia molto in sintonia con il Paese». «Io – ha aggiunto – proverei ad anticipare e accelerare un po’, per evitare di dare l’idea che perdiamo mesi a discutere di noi, mentre c’è qualcun altro che si occupa di risolvere i problemi dei cittadini».

Il sospetto di una discussione tutta in chiave di equilibri interni

Insomma, la discussione innescata dal discorso di Meloni è molto sbilanciata sui temi congressuali e, dunque, non esente dal sospetto che sia tutta in chiave di equilibri interni, anche perché questo tormentato congresso dem è stato indicato anche dallo stesso Letta della Marcia su Roma come «parte dell’opposizione» al governo, senza però immaginare cambiamenti rispetto alla tempistica che lo colloca intorno a marzo. «Il problema non è un mese in più o in meno, perché se continuiamo a fare la stessa cosa che per troppo tempo abbiamo fatto, non cambierà nulla né farlo a gennaio né a marzo», ha fatto quadrato Marianna Mafia. Andrea Orlando, poi, interpellato dall’Adnkronos, si è chiesto: «Anticipare? O si fa un congresso davvero costituente o tante vale… Vorrei capire quali sono regole».

Lo sgomento di Concita De Gregorio per la lotta al merito: «Ma davvero?»

Nonostante il tema di quale sinistra debba porsi oggi sulla scena politica risulti per lo più estraneo ai notabili dem e molto piegato alle logiche interne, nondimeno si affaccia al dibattito. Coinvolgendo anche voci esterne al Parlamento. Su Repubblica di oggi, per esempio, Concita De Gregorio si interroga con costernazione sulla battaglia ingaggiata dalla sinistra contro il merito. «Non me ne faccio una ragione», scrive, domandando: «Ma veramente dite? Adesso dopo identità, giustizia, sicurezza, legalità – continuate voi l’elenco – anche il merito lo dobbiamo regalare alla destra, siamo impazziti? Che cos’è, un suicidio plateale, una performance dadaista?». «Ragazzi, davvero. Ragioniamo», è l’esortazione della giornalista che fu direttrice de L’Unità e che oggi, prendendo a spunto un tema dell’attualità, pone di fatto alla sinistra domande profonde su come voglia connotarsi.

Dopo il discorso di Meloni, la sinistra riparta dalla moglie di Jovanotti

La sintesi migliore, però, l’ha fatta su Twitter Francesca Valiani, moglie di Jovanotti. «È evidente che la figura e le azioni di Giorgia Meloni costringono la sinistra ad un rinnovamento di idee e battaglie necessario da anni, ma mai attuato. C’è anche una destra diversa e deve assolutamente esserci una sinistra diversa», ha scritto, dopo il discorso del premier alla Camera. Valiani conta oltre 40mila follower, ma il suo intervento ha suscitato solo nove commenti. Uno di questi dice: «Mi accontenterei che ci fosse una sinistra», «Eh…», replica lei. Ora, considerato il numero di persone che la segue, Valiani può in fin dei conti essere annoverata anche lei tra gli influencer. Dunque, ha il giusto appeal per assurgere a nuova icona Pd. Non sarebbe male: “La sinistra riparta da Francesca Valiani”, alla luce di ciò che scrive, suona molto meglio di “La sinistra riparta da Chiara ed Elodie”.

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