Meloni e l’Europa: tutte le volte che la sinistra ha criticato Bruxelles. Allora, che volete da Giorgia?

14 Set 2022 16:28 - di Carmelo Briguglio

Certo che ha ragione Giorgia Meloni. Non ha bisogno di patenti da Bruxelles per guidare l’Italia. Le basta quella che il corpo elettorale rilascia a chiunque riceva il suo consenso: l’exequatur a governare lo concede il “demos” politico che agisce in quel Collegio dove – sostiene Emilio Gentile – si manifesta la “corporizzazione del popolo sovrano nelle persone degli elettori, almeno al momento del voto”. Ma questo é “in re ipsa”. Claudio Cerasa – a parte l’augurio finale, così poco canonico da sembrare sarcastico (“in bocca al lupo, segretario”) – si spende in un’analisi attenta delle inesorabili ragioni del perché la Meloni batte Letta. Ineccepibile. E tutt’altro che banale. Ma la sua notazione sull’Europa non sì può condividere. E non solo per l’infortunio di Enrico sulla Polonia, indicata a modello negativo di Giorgia, mentre assolve al compito di nazione più esposta negli aiuti armati all’Ucraina: il direttore del Foglio, schierato sul Pd – ma contapassi attento della Meloni – ricade nello stesso errore del capo dem.

C’è una tradizione di sinistra critica con Bruxelles

È soprattutto quel suo “un conto é volere un’Europa dominata dai governi (sovranismo nazionalista modello Meloni); e un conto é un’Europa dominata dalle istituzioni (sovranismo europeista modello Draghi)” a fallare: il caso polacco cos’è, se non la cifra riuscita di solidarietà tra istituzioni e stati d’Europa in un frangente storico drammatico ? E il mancato accordo, ad oggi, sull’emergenza energetica non é il suo contrario ? Diciamoci la verità: c’è, perché c’è, ancora una residua, ingiustificata riserva mentale contro la leader di Fdi. Destinata a sciogliersi presto, nel post-elezioni. Ma, intanto c’è. Lo dimostra un versante abbastanza trascurato dagli analisti politici, che si può dire così: c’è una tradizione nazionale, bipartisan, anche recente, di critica dell’Italia alle istituzioni comunitarie? C’è un particolare contributo dei progressisti a questo filone ? Sì o no ? C’è, c’è. Ed é andata oltre, molto oltre, la critica “conservative” – temperata e legittima – della candidata del centrodestra alla premiership.

Meloni e l’Europa

Per capire un “tòpos” politico, spesso devi guardare al suo estremo; a “destra” della destra parlamentare c’è una formazione che potrebbe entrare in Parlamento: si chiama “Italexit”. Lo spazio e la “forma”della contestazione radicale si raggruma lì. Gli addebiti della Meloni sono altra questione. E si iscrivono, senza fuoriuscirne, nella tradizione italiana – oltre la destra e la sinistra – di tollerata critica: non ha mai impensierito né Bruxelles, né i sinceri europeisti. Sono appunti dentro i binari di una contestazione misurata. Perché ? Come, perché ? Cavolo, siamo già all’annullamento della memoria comune ? La politica italiana vuole davvero assumere gli umori dell’animale “che dimentica immediatamente e che vede davvero ogni attimo morire, sprofondare nella nebbia e nella notte, estinguersi per sempre”, come ammonisce il Filosofo col Martello ?

Quando Renzi premier fece togliere la bandiera europea

A sinistra, il Pd ha generato un governo che di critiche alle istituzioni europee ne ha accumulate. Altro che Giulio Tremonti. A capo di quell’esecutivo, Matteo Renzi, osò il massimo oltraggio, senza precedenti: cacciò la bandiera europea dalla comunicazione ufficiale del governo della Repubblica. La tolse proprio. Sì, Renzi, Renzi. Ricordate, adesso ? Voleva vincere il “suo” referendum di cambio della Costituzione, così. Facendo l’anti-europeo. E dando un dolore fortissimo al povero Romano Prodi: “mi ha preso male al cuore, perché noi abbiamo questa doppia identità, italiana ed europea”, disse l’ex capo della Commissione Ue. Arrivando all’aperta irrisione di Matteo:”Forse sono cattivo di animo ma mi viene da dire… mettiamo il giglio fiorentino accanto al tricolore italiano”. Era il 2016.

Prodi e Napolitano

Ma pochi anni prima era stato lo stesso Prodi a suscitare un vespaio: “So molto bene che il patto di stabilità è stupido, come tutte le decisioni rigide”, disse a Le Monde. Parlò più da italiano che da leader europeo, si disse. Neppure Napolitano, da capo dello Stato, risparmiò l’Unione da biasimi pesanti: lamentò “uno  stato insoddisfacente dell’Unione Europea come soggetto di politica internazionale”; mise in grande imbarazzo l’Alto Rappresentante Ue Catherine Ashton, che polemicamente fece sapere di non volere commentare. E allora ? C’è una consuetudine consolidata di critica interna al sistema di Bruxelles. E la sinistra ci ha messo del suo. Tanto. Eccome. E allora, che volete da Giorgia?

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