La retorica dell’antifascismo è morta e anche il bipolarismo non si sente più tanto bene

26 Set 2022 16:09 - di Lando Chiarini
antifascismo

È ufficiale: l’antifascismo è morto. Consegnandoci la straordinaria vittoria del centrodestra, resa ancor più netta dalla superba performance di Fratelli d’Italia, il voto di domenica ci dice che la spinta propulsiva dell’antifascismo come motore di mobilitazione elettorale non esiste più. Meglio, non funziona più. È evaporata. Non siamo noi a dirlo, ma è la campagna elettorale più avariata e rancida di sempre a certificarlo. E tale è stata per responsabilità esclusiva di Enrico Letta e della consueta combriccola di giornalisti, intellettuali e opinionisti, evidentemente convinti – chissà perché – che il logoro schema del “pericolo nero” sarebbe risultato ancora vitale e attrattivo. Purtroppo per loro, così non è stato.

L’antifascismo senza fascismo non funziona più

Neppure il tormentone sul calendario con il richiamo della concomitanza temporale tra l’eventuale investitura a premier di Giorgia Meloni e il centenario della Marcia su Roma ha funzionato. E nessuno ha abboccato alla vulgata della Ducessa in agguato. A ben guardare, l’unico risultato ottenuto è consistito nello svelare quanta distanza oggi vi sia tra la narrazione dei Formigli, delle Gruber, dei Cazzullo, degli Scurati e via elencando e le vere esigenze degli italiani. Insomma, il presente ha vinto sul passato mentre le emergenze imposte dai tempi attuali hanno avuto ragione delle false paure spacciate dal Pd, da Repubblica e dai talk-show de La7. Sotto questo profilo il voto di ieri archivia una lunga epoca che trovava nellantifascismo senza fascismo la propria koinè politica.

Antifascismo morto, bipolarismo in crisi

Non siamo tuttavia tanto ingenui da immaginare che di colpo si volti pagina e si dichiari chiuso il mercatino dell’usato. Più realisticamente, pensiamo che l’antifascismo continuerà a circolare, ma avrà il valore di una moneta fuori corso legale: sarà utile ai collezionisti, ma non per comprarci il pane. Doveva accadere prima o poi, e ora che è accaduto non può che essere un bene. Ma la fine della retorica antifascista non è l’unico dato sotteso alla campagna elettorale appena terminata: un secondo aspetto riguarda infatti la crisi strutturale del bipolarismo, così come certificata dal risultato del M5S.

Il M5S al 15% è terzo polo

Vero: i pentastellati perdono milioni di voti rispetto a quattro anni fa, ma l’essersi piazzati oltre il 15 per cento rende il loro movimento presenza stabile all’interno del sistema dei partiti. Che farà ora Conte? L’etichetta di progressista sbandierata in campagna elettorale lo avvicina alla sinistra, ma da qui a immaginare una sua stretta collaborazione con i dem ce ne corre. L’elettorato grillino – e l’esperienza recente ce lo ricorda – ha mostrato di soffrire la contiguità con altre forze politiche. A destra (Lega), come a sinistra (Pd). Anche l‘odierno risultato elettorale si spiega con la ripresa del “soli contro tutti”, oltre che – ovviamente – con la difesa del reddito di cittadinanza. E Conte è il primo a saperlo.

Attenzione al “partito del Sud”

Dem e pentastellati staranno insieme all’opposizione, ma presumibilmente, almeno nel breve termine, più in una logica di concorrenza che di collaborazione. E non è tutto, perché per un bipolarismo politico che tramonta, ve n’è uno territoriale pronto a sorgere. Il mezzo miracolo elettorale compiuto da Conte ha confermato il M5S come primo partito del Mezzogiorno. E molti indizi, a cominciare dalla contrarietà all’autonomia differenziata che già affiora sulle labbra di molti 5Stelle, autorizzano a ritenere che molti di loro considererebbero naturale l’evoluzione del movimento in “partito del Sud”. È un tema da attenzionare. A conferma che se l’antifascismo è morto, neanche il bipolarismo si sente poi così tanto bene.        

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