Romani (ex senatore di FI) indagato per peculato: avrebbe sottratto 350mila euro dalle casse degli azzurri
Paolo Romani, già capogruppo di Forza Italia e prima del Pdl al Senato, è indagato a Monza per peculato e in particolare la procura contesta al senatore di Italia al Centro di aver sottratto oltre 350mila euro dalle casse del suo ex partito Forza Italia. Reato commesso, si legge nella nota a firma del procuratore Andrea Gittardi, dall’aprile 2015 al febbraio 2018.
In particolare Romani, avendo accesso al conto Bnl di Palazzo Madama intestato al gruppo parlamentare di Fi, “con delega a suo favore a far data dal 9 aprile 2014 (conto alimentato con somme provenienti dalla dotazione del Senato per il finanziamento pubblico dei gruppi parlamentari relativo alla XVI Legislatura, destinate a finalità istituzionali) si appropriava dell’importo complessivo di 83 mila euro” prelevati con quattro assegni poi versati sul conto personale.
Il ruolo dell’imprenditore Pedico
Un presunto illecito che avrebbe ripetuto altre due volte: si sarebbe appropriato di 180.500 euro, poi versati a favore dell’indagato Domenico Pedico (15 mila euro) e 165.500 euro a favore della Cartongrafd&Ksrl (attualmente Grafd&Ksrl in liquidazione), riferibile allo stesso Pedico, “con successiva quasi integrale ed immediata restituzione dei relativi importi a Romani” con più assegni. Inoltre il senatore avrebbe intascato 95.348,31 euro “corrispondendoli a molteplici soggetti per finalità estranee a quelle indicate nel regolamento del Senato mediante assegni emessi in relazione ad interessi personali”.
Il senatore Paolo Romani interrogato lo scorso 8 luglio a Monza “si è avvalso della facoltà di non rispondere rendendo spontanee dichiarazioni ed allegando memoria difensiva con la quale si è tra l’altro riservato di produrre successiva documentazione a questa procura”.
Romani intende restituire i fondi
Paolo Romani “ritiene che se ha sbagliato a interpretare la legge, i regolamenti, le prassi e la consuetudine restituirà immediatamente tutti i fondi in discussione, poiché egli versava nella più totale buona fede”. Così i difensori, gli avvocati Giammarco Brenelli e Daniele Benedini, intervengono sull’ipotesi di reato a carico del senatore.
I legali osservano che “la questione circa la illegittimità dell’utilizzo delle somme è non poco opinabile. Nell’attività di gestione di tali fondi vi erano buoni motivi, con fondamento nel diritto civile e nel diritto parlamentare e in precise sentenze della magistratura su episodi precedenti che giustificavano un utilizzo discrezionale dei fondi nell’ambito del vuoto legislativo che ha preceduto la regolamentazione dei fondi dei gruppi da parte del Senato stesso”.
Inoltre, “secondo consuetudini, consolidate nella prassi e nella giurisprudenza penale e civile, esattamente sul tema, detti fondi non erano assoggettati a qualsivoglia rendicontazione, che non era prevista -concludono – né per legge e né per regolamento”.