Meloni: c’è una regola chiara, chi vince governa. E agli alleati: mettiamo da parte i tatticismi
Immancabile la domanda su Mario Draghi e sulla sua caduta. «Non ho capito tutte le sue mosse – dice Meloni – Era evidente che fosse stufo delle liti. Prima si è dimesso, poi ha deciso di tornare indietro. Fin qui c’è una logica. Da quel punto in poi non mi è chiara la strategia: lui ha preso in considerazione l’ipotesi di andare avanti senza il M5S, ma allora perché nel discorso se l’è presa con un’altra parte della sua maggioranza? Non puoi pensare che arrivi in Aula, meni tutti e gli altri ti dicano “bravo”». In definitiva, Draghi voleva andarsene per il timore della tempesta economica d’autunno.
La leader di FdI non si sbilancia sulle promesse elettorali. “Nel programma comune dovremmo concentrarci sulle cose che si possono fare. Meglio mettere una cosa in meno, che una in più che non si può realizzare». Stop alla propaganda, dunque, e in questo Meloni appare la meno “populista” tra i suoi alleati.
Poi c’è tutta la manfrina antifascista che già sta risuonando, anche fuori dall’Italia, come dimostra l’articolo del New York Times in cui Meloni viene dipinta come un pericolo per l’Europa. «Si stanno muovendo – è la replica – una serie di think tank della sinistra italiana che vanno in giro per dire che se vince la Meloni l’Italia viene risucchiata da un buco nero. Una strategia irresponsabile. Come si è dimostrato con la posizione di FdI sull’Ucraina non c’è nulla da temere. Questo gioco di terrorizzare i mercati ha uno scopo».
Quanto ai rapporti con gli alleati, Meloni ribadisce che c’è una «regola che ha sempre funzionato: chi vince governa. Non abbiamo nemmeno il tempo di cambiarla». Salvini la riconosce, ma Forza Italia no. Non è il caso di mettersi a litigare – avverte Meloni – «Spero che non sia così. Confido che si mettano da parte i tatticismi. Noi dobbiamo fare quello che la sinistra sa fare: compattarsi per battere l’avversario. L’avversario è il Pd e spero che gli altri mi diano una mano a batterlo».