
Il Senato boccia la parità di genere nel linguaggio ufficiale. Sinistra a lutto. FdI: “Basta ideologismi”
Il Senato boccia la parità di genere nel linguaggio ufficiale. L’Aula di Palazzo Madama ha respinto l’emendamento della senatrice grillina Maiorino. Che chiedeva la possibilità di adottare la differenza di genere nella comunicazione istituzionale scritta. Votata a scrutinio segreto, la proposta ha ottenuto solo 152 voti favorevoli, non sufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta necessaria Molte le contestazioni procedurali in Aula. Soprattutto da parte dei 5Stelle. Urla e accuse. Ma la presidente Casellati ha tagliato corto definendo le proteste “pretestuose e inaccettabili”.
Il Senato boccia la parità di genere nel linguaggio ufficiale
La sinistra è al lutto. Come un sol uomo i senatori 5Stelle, dem e renziani hanno definito “gravissima” la bocciatura. E intonato la stanca litanìa del “passo indietro”. E della misoginia nascosta. La proposta Maiorino puntava a introdurre nel Regolamento “l’utilizzo di un linguaggio inclusivo”. In sostanza si prevedeva che il “Consiglio di presidenza stabilisse il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio. “Attraverso – si legge nel testo – l’adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi. Attraverso le relative distinzioni morfologiche. Ovvero evitando l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli.
L’ira della sinistra: un passo indietro gravissimo
Tra le più arrabbiate Monica Cirinnà. “Se questo è l’anticipo del nuovo Parlamento, abbiamo un motivo in più per lottare con forza. La nostra Italia crede nell’eguaglianza”. Per la dem Simona Malpezzi la responsabilità è della destra “reazionaria” che vuole guidare il Paese. “Per loro le donne non esistono neanche nel linguaggio”. Di gigantesco passo indietro nelle politiche del governo parla il senatore grillino Gianluca Perilli.
FdI: il linguaggio non si modifica per legge
A rovesciare la narrazione Fratelli d’Italia. “L’unico grande partito della storia d’Italia ad essere guidato da una donna”, fa notare il senatore Lucio Malan. “Così si dimostra attenzione all’apporto femminile nel mondo delle istituzioni. Non con norme-manifesto ideologiche da campagna elettorale. Ci siamo astenuti sull’emendamento perché riteniamo che l’evoluzione del linguaggio non si faccia per legge o per regolamento. Ma attraverso l’evoluzione del modo di pensare e parlare dei popoli. Imporre che in tutti i documenti del Senato si debba scrivere, ad esempio, non più ‘i senatori presenti’ ma ‘i senatori e le senatrici presenti’. Non più ‘i componenti della Commissione’ ma ‘le componenti ed i componenti’, ha davvero poco senso. Nessuno, infatti, né oggi né all’epoca della Costituente, ha mai pensato che quando la Costituzione dice che ‘I senatori sono eletti a suffragio universale’ si intende che le senatrici sono elette in un altro modo”. Le donne – conclude l’esponente di FdI – si difendono con il criterio del merito, con adeguati sostegni a chi le assume. Con città sicure dove possono uscire da sole, con attenzione a donne e uomini che si occupano della famiglia. È curioso notare, infine, che quasi tutti i sostenitori del linguaggio ‘di genere’ hanno sostenuto il Ddl Zan, per il quale il ‘genere’ è opinabile, auto-attribuita e mutevole”.