Governo, spunta il nome di Casini: un dc è d’obbligo quando il Palazzo deve tirare a campare

16 Lug 2022 10:56 - di Valerio Falerni
Casini

Scoppia la crisi, impazza il toto-nomi. E sì perché si fa presto a dire “elezioni“. In realtà, nel Palazzo nessuno ha voglia di tirare le cuoia. Molto meglio tirare a campare, come ben sapeva un immarcescibile come Giulio Andreotti. Non stupisce, perciò, che tra i nomi sussurrati tra i divani di Montecitorio acquisti peso e spessore quello di Pieferdinando Casini. A ulteriore conferma che il risiko del Quirinale di qualche mese non è scorso come acqua sotto la pancia delle anatre. Per un Mario Draghi che ha sostanzialmente mollato da allora, c’è infatti un Casini risorto a nuova vita dopo aver mancato per un soffio l’obiettivo del Colle. Ed ora eccolo qua iscritto d’ufficio tra le riserve della Repubblica, pronto a sfruttare l’ennesimo sfondone dei dilettanti allo sbaraglio (leggi i 5Stelle) pur di restare a galla.

Casini era stato in pole per il Quirinale

Il suo nome circola, dunque. Sebbene non impazzi. Non ancora, almeno. Per quello bisognerà attendere la giornata di mercoledì. Solo allora, infatti, sapremo se il pressing interno e internazionale su Draghi avrà sortito l’effetto sperato. In caso contrario, la carta Casini diventerebbe una tra le più preziose nel mazzo di personalità in grado di guidare il governo da qui al prossimo marzo. Da Leu alla Lega nessuno gli direbbe di no. Tranne Fratelli d’Italia, ovviamente, che resterebbe all’opposizione, e i 5Stelle ma solo perché a quel punto nessuno dei soci di maggioranza li rivorrebbe tra i piedi. Il resto direbbe ““, compreso il Pd, quantunque costretto a fare buon viso a cattivo gioco.

Letta ammaccato

Già, perché il non-detto di questa vicenda è che il partito uscito più ammaccato dal tamponamento provocato da Giuseppe Conte è quello di Enrico Letta. Il M5S era il pezzo più pregiato del suo campo largo. Dopo la crisi aperta, non è più così. È il motivo per cui il segretario dem sembra diventato afono. C’è persino chi insinua che, sotto sotto, il suo silenzio nasconda l’obiettivo delle elezioni anticipate. Si vedrà. Di certo, al momento, c’è che l’ipotesi Casini non sembra entusiasmarlo più di tanto. Pur tuttavia, tra la sconfitta (certa) subito e la possibilità di guadagnar tempo, semmai convincendo gli altri a convertirsi al proporzionale, la scelta pare obbligata. Del resto, è democristiano come Andreotti e Casini. Il «meglio tirare a campare che tirare le cuoia» vale anche per lui. Ora come allora.

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