Draghi lavora al discorso di domani. Sedotto dai peana ora è tentato dal bis per ‘salvare’ l’Italia

19 Lug 2022 8:51 - di Eugenio Battisti

Il caos regna sovrano. A ventiquattro ore dalle comunicazioni parlamentari, pretese da Mattarella, Mario Draghi non lascia trapelare le sue mosse. Resterà sui suoi passi, colpito e affondato dai 5Stelle allo sbaraglio? O, da buon Narciso,  si farà convincere a restare per salvare l’Italia dalla débacle? Il pressing nazionale e internazionale, i peana dei massimi vertici europei, le coccole d’Oltreoceano stuzzicano le sue ambizioni.  In queste ore, dopo la missione ad Algeri con al seguito sei ministri (che lo applaudono come fosse una star), è alle prese con l’intervento clou del suo mandato. Chi lo conosce scommette che sarà guidato dal pragmatismo che lo caratterizza.

Draghi in bilico alle prese con l’intervento di  domani

All’estero non dice una parola sulla complicata crisi di governo italiano mentre da Roma arrivano notizie che disorientano. Nei due discorsi scritti dallo staff per la visita di Stato in Algeria non c’è traccia di politica interna. Il premier dimissionario sembra seccato, o forse soltanto concentrato. Giuseppe Conte, che nelle prossime ore potrebbe perdere una trentina di parlamentari pronti a votare la fiducia all’ex governatore della Bce, finora ha lasciato il boccino nelle mani di SuperMario. Nei corridoi del palazzo si vocifera di un possibile ripensamento dopo lo strappo  sul dl Aiuti. Ma Forza Italia e Lega, almeno a parola, insistono sulla linea ‘o si riparte senza 5Stelle o si va alle urne”.

Il premier è tentato da un possibile bis

A differenza delle prime, quando appariva irremovibile, oggi Draghi è tentato dal bis. Se dovessero prevalere le motivazioni inziali dovrebbe confermare l’addio, logorato dalle continue risse tra i partiti della sua maggioranza extralarge. E il Colle sarebbe costretto suo malgrado a  sciogliere le Camere, con la prospettiva di elezioni anticipate a ottobre. Restando a palazzo Chigi per i prossimi tre mesi per occuparsi degli affari correnti.

Il pressing internazionale e gli appelli a restare

Se, invece, passata la rabbia,  si lascerà sedurre dal richiamo alla responsabilità potrebbe scegliere di riprendere la navigazione con una nuova maggioranza. Anche se il chiarimento richiesto non c’è stato. E tutto lascia presagire che il teatrino e il tira e molla sui provvedimenti tornerà a togliergli pazienza e voglia di lavorare. Luigi Di Maio ostenta una grande ‘serenità’ che lascia pensare che la tempesta perfetta si acqua passata. Gli appelli messi in campo trasversalmente (sindaci, gli imprenditori, Vaticano, sindacati, cattolici e ambientalisti) potrebbero aver convinto Draghi alla retromarcia. Anche se è fallito l’escamotage procedurale messo in piedi dal Pd per iniziare la conta dalla Camera, dove la maggioranza è più forte. Senza una schiarita, però, il presidente del Consiglio non aspetterebbe il voto di fiducia per andare a dimettersi. Ma lo annuncerebbe in Parlamento nella sua replica.

La risoluzione di maggioranza che confermi la fiducia

Una via d’uscita è rappresentata da una risoluzione di maggioranza che confermi la fiducia. Ma la voterebbero tutti i deputati fedeli alla linea antigovernativa del capo? Se invece dovessero sfilarsi il Pd di Letta è pronto a caricarsi il fardello. E, soprattutto, Salvini e Berlusconi sono disposti ad accettare il colpo di coda? Interrogativi difficili e tanti gli scenari ancora aperti. Ma se andasse a finire così viene da chiedersi a che cosa sia servita la mossa delle dimissioni, visto che una maggioranza (seppure rabberciata) non è mai venuta meno in Parlamento.

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