Boris Johnson sempre più solo accetta di dimettersi dalla guida dei Tory ma resta primo ministro fino all’autunno
Boris Johnson, sotto fortissima pressione, accetta di dimettersi dalla guida dei Tory dopo aver resistito caparbiamente alle pressioni mentre, intorno a lui, piovevano le dimissioni dei suoi ministri che continuano, uno dopo l’altro, a lasciare il governo. Ma, ha detto la Bbc, continuerà a servire come primo ministro fino all’autunno per consentire di trovare una nuova leadership.
Boris Johnson si è detto pronto a dimettersi subito, oggi, dalla carica di leader dei Tory e in autunno, o meglio a ottobre, da quella di premier, ha precisato la Bbc affermando che quest’estate si svolgerà una corsa alla leadership del partito dei conservatori.
A ottobre, ha ricordato l’emittente, si svolgerà la conferenza dei Tory.
Un portavoce del governo britannico ha annunciato che ”il primo ministro farà oggi una dichiarazione al Paese“.
Subito dopo Boris Johnson si è dimessa anche la vicepresidente del partito Tory, Caroline Johnson, ha rassegnato le sue dimissioni.
Una decisione che ”non è stata presa alla leggera”, spiega, riconoscendo ”il privilegio” di ricoprire la sua carica.
“E’ con grande tristezza, tuttavia, che riconosco che nel tempo l’effetto cumulativo dei vostri errori di giudizio hanno sperperato la buona volontà del nostro grande Partito“, ha scritto Johnson al Primo Ministro.
“Credo che tentare di restare quando c’è la scritta sul muro non può che danneggiare il nostro Partito e quindi il nostro Paese“.
Sono ore drammatiche in questo momento per l’alleato più fedele di Biden nella guerra in Ucraina: intorno a Johnson che ha resistito fino a poco fa alle pressioni fortissime e alle richieste di dimettersi si è fatto il vuoto. Perfino ministri nominati neanche 48 ore fa gli hanno voltato le spalle. A parte pochi fedelissimi rimasti a fare quadrato è un fuggi fuggi generale.
L’ultima a lasciare era stata, poco fa, Michelle Donelan, nominata meno di 48 ore fa ministra dell’Istruzione britannica al posto di Nadhim Zahawi.
”E’ l’unico modo per portare Johnson alle dimissioni”, ha dichiarato, sottolineando che ”con grande tristezza devo dimettermi da questo governo”.
Perfino Nadhim Zahawi, l’appena nominato Cancelliere dello Scacchiere aveva chiesto le dimissioni di Johnson.
Aveva appena sostituito il dimissionario Rishi Sunak.
“Questa situazione non è sostenibile e non potrà che peggiorare, per lei, per il Partito conservatore e soprattutto per il Paese – ha scritto Nadhim Zahawi. – Deve fare la cosa giusta e lasciare ora“.
Poco prima aveva deciso di lasciare il suo incarico il ministro della Giustizia James Cartlidgem: “non è nemmeno lontanamente possibile” che il primo ministro “cambi e rientri”.
”In qualità di ministro dei Tribunali, mi sono sentito in dovere di rimanere in carica a causa della situazione molto impegnativa nella Corte della Corona. Ma è chiaramente impossibile continuare”, ha scritto su Twitter condividendo la lettera di dimissioni indirizzata a Johnson.
Scelta diversa per il ministro alla Difesa Ben Wallace. Che ha deciso di ritirare il suo sostegno al premier britannico Boris Johnson, ma di non rassegnare le dimissioni. “Alcuni di noi hanno l’obbligo di mantenere questo Paese al sicuro, non importa chi sia il primo ministro. Il partito ha un meccanismo per cambiare i leader e consiglio ai colleghi di usare questo meccanismo”, ha dichiarato.
Lascia il governo anche il ministro delle Pensioni Guy Opperman.
Nella lettera che ha inviato al premier Boris Johnson, Opperman spiega di essere stato “particolarmente sconvolto dal comportamento di Downing Street durante le restrizioni per il covid”.
Anche il ministro della Scienza, George Freeman, ha annunciato alla Bbc la sua decisione di lasciare il governo.
“Il troppo è troppo”, ha scritto al premier nella sua lettera di dimissioni.
“I recenti eventi hanno dimostrato chiaramente che il governo non può funzionare con lei in carica“, ha aggiunto spietato.
“Nessuno, per quanto successo abbia avuto in passato, vale più del partito, o del Paese”, ha concluso.
Qualche ora fa si è dimesso dal governo in Gran Bretagna anche il ministro per l’Irlanda del Nord, Brandon Lewis e il suo messaggio al premier Boris Johnson è l’ennesimo schiaffo: il governo richiede “onestà, integrità e rispetto reciproco”.
Poco prima aveva lasciato anche Simon Hart, ex-segretario di Stato per il Galles, portando a tre il numero dei membri del gabinetto che si sono dimessi, insieme a Sajid Javid e Rishi Sunak.
Nella sua lettera di dimissioni a Boris Johnson, Hart sottolinea che “non c’era altra opzione che quella di dimettersi dal ruolo di segretario di segretario di Stato per il Galles. I colleghi hanno fatto del loro meglio in privato e in pubblico per aiutarti a far andare avanti la nave, ma è con tristezza che sento che abbiamo superato il punto in cui ciò è possibile”.
Di ora in ora sono salite le pressioni perché Boris Johnson si dimettesse.
Ad innescare le dimissioni a catena è stato l’ennesimo scandalo che ha investito Bojo: il caso del vice ‘chief whip‘ Christopher Pincher, con la storia di festini ad alto tasso alcolico e molestie sessuali nei confronti di giovani uomini.
Vicende imbarazzanti che Boris Johnson avrebbe ignorato, facendo finta, ancora una volta dopo il partygate, di non saperne nulla.
Ma il malcontento pesca anche in scandali precedenti e, soprattutto, nella disastrosa situazione economica che è imputabile solo in parte alla Brexit e che ha portato la fiducia dell’elettorato verso il premier ad una caduta verticale, ora al 48 per cento.
“Questi ultimi due giorni hanno tolto a Boris Johnson gran parte della sua autorevolezza, ma non ancora il suo lavoro” riassume la Bbc.
L’Attorney General Suella Braverman aveva invitato il premier a dimettersi, annunciando anche la sua candidatura a leader dei tories, e quindi a premier.
Il ministro Michael Gove è stato invece licenziato da Johnson, dopo che ne aveva chiesto le dimissioni in un incontro a due.
Anche la ministra degli Interni Priti Patel, il ministro dell’Impresa, Kwasi Kwarteng, e dei trasporti Grant Shapps, sono fra coloro che hanno chiesto a Boris Johnson di lasciare Downing Street.
Lo scontro in atto mette in crisi un sistema basato sulla fiducia, come ha riassunto l’ex-ministro per l’Irlanda del Nord, Julian Smith.
Fra gli scenari possibili, oltre alla convocazione di elezioni anticipate ventilate dal Premier alle strette, la possibilità di cambiare le regole per la sfiducia (introdurre la possibilità di chiederne una nuova prima di un anno) e riproporre questo passaggio. Ma la situazione è oramai sfilacciata. E Boris Johnson sempre più solo.