Meloni: «I salari si aumentano tagliando il costo del lavoro. Si usino i soldi del reddito di cittadinanza»

6 Giu 2022 9:10 - di Viola Longo
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Il problema «non è più rinviabile», ma non può essere affrontato con una soluzione «una tantum», come ipotizzato dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco in relazione al salario minimo. «Per sostenere il potere d’acquisto delle famiglie e la competitività delle nostre imprese serve un intervento poderoso sul cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro e aumentare i salari», avverte Giorgia Meloni, ricordando che una parte dei fondi è già lì: «Basterebbe abolire il reddito di cittadinanza per avere a disposizione risorse importanti per tagliare il costo del lavoro e rilanciare l’occupazione».

Il focus di Meloni su salari e temi economici

In una lunga intervista a La Verità, la leader di FdI si è soffermata a lungo sui temi economici, partendo dai principali dossier politici di queste settimane, dal potere d’acquisto alle concessioni, fino alla denatalità. Meloni, alla richiesta su quale sarebbe il suo primo provvedimento se diventasse premier, ha ricordato che nel 2013 al primo punto del programma c’era un piano straordinario a sostegno della natalità. «La questione è anche, forse soprattutto, economica», ha sottolineato, spiegando che «non ci preoccupiamo del Pil demografico, e questo porterà al crollo del Pil economico».

Agire sul «Pil demografico» per sostenere il «Pil economico»

«Non so se lo metteremo ancora al primo punto del programma, ma – ha chiarito la leader di FdI – certamente lo faremo: conciliazione lavoro-famiglia; asili nido gratis, con orari prolungati, più diffusi anche sui posti di lavoro e nei condomini; reddito di infanzia di 400 euro al mese per ogni figlio fino ai 6 anni; Iva al 4% sui prodotti per la prima infanzia. E tante altre misure concrete che abbiamo depositato e avevamo anche chiesto di inserire nel Pnrr. Ma, ancora una volta, il governo si è voltato dall’altra parte».

I balneari? «Oggi tocca a loro, domani ai tassisti, poi alla casa»

Il Pnrr resta sullo sfondo di molti ragionamenti, e Meloni ne smaschera l’uso strumentale che ne viene fatto per spingere il Paese verso scelte che non rispondono all’interesse nazionale. L’esempio è quello dei balneari. «Hanno raccontato agli italiani che senza le aste sulle spiagge non ci avrebbero dato i soldi del Pnrr; pare ci sia stato un accordo sottobanco, perché nel testo di legge non c’era, tra l’Ue e il governo Draghi in tal senso. Un fatto gravissimo», ha commentato Meloni, avvertendo che «oggi tocca ai balneari, domani ai tassisti, dopodomani alle tasse sulla casa».

Il Pnrr come nuovo “ce lo chiede l’Europa”

«Il Pnrr rischia di diventare il nuovo “ce lo chiede l’Europa”, una specie di super Mes con il quale in cambio di soldi, peraltro in gran parte a debito, che dovevano servire per la ripresa dalla pandemia ci impongono scelte lacrime e sangue. Noi ci faremo sentire. E lo stesso faremo se cercheranno di utilizzare lo stesso schema con la guerra», ha aggiunto la leader di FdI, chiarendo che sui balneari «ci batteremo anche alla Camera e poi cambieremo questa legge quando andremo al governo».

Goldman Sachs & co «si rassegnino: chi vince lo decidono gli italiani»

E, ancora, il Pnrr che nelle valutazioni di Goldman Sachs sarebbe a rischio se vincesse la «destra euroscettica». Un’«ingerenza» che Meloni ha trovato «molto grave» e rispetto alla quale ha ribadito che «si devono rassegnare: chi vince le elezioni lo decidono gli italiani e non le banche straniere o i salotti radical chic». «Soltanto un governo coeso e legittimato dal voto popolare – ha proseguito Meloni – avrà la forza per far ripartire l’Italia e rilanciare la crescita economica, che è l’unica vera garanzia per chi detiene il nostro debito pubblico».

Il Mediterraneo al centro della politica estera di FdI

Un governo che sarà di centrodestra e che, a dispetto di quello che vogliono sostenere alcuni osservatori cavalcando i temi della guerra, non sarebbe affatto debole in politica estera. «Un governo di centrodestra a guida FdI sarebbe saldamente collocato in Europa e in Occidente, perché questa è la nostra metà campo», ha chiarito Meloni, ribadendo che «questo non vuol dire essere succubi di Bruxelles né sudditi di Washington, ma difendere con forza l’interesse nazionale italiano nel quadro delle nostre tradizionali alleanze». La parola d’ordine è «riequilibrio» della Nato verso l’Europa e dell’Ue verso Sud. «Dobbiamo tornare a essere protagonisti nel Mediterraneo, che gli ultimi governi hanno colpevolmente abbandonato, rendendoci marginali in Africa e in Medio Oriente ed esponendoci a immigrazione incontrollata e ricatti energetici», ha spiegato la leader di FdI.

La necessità di «solidarietà reale» all’interno dell’Ue

Quanto all’atteggiamento dell’Ue rispetto alla guerra, Meloni ha quindi ricordato che il punto debole delle sanzioni «è la mancanza di un meccanismo di compensazione finanziario per le nazioni più colpite da queste scelte. Se non c’è una solidarietà reale che mi consenta di affrontare le perdite è chiaro che cercherò di limitarle il più possibile. Da mesi lo diciamo inascoltati a Draghi, ma vedo che l’Italia non si sta muovendo come dovrebbe su questo tema. Ed è chiaro che sarà ancora peggio quando si passerà a parlare di gas».

Al centrodestra serve «chiarezza sulle regole»

Ancora sul centrodestra «il problema non è ristrutturarsi in termini di partiti o coalizioni, ma di dare agli italiani un messaggio trasparente e compatto: vi chiediamo il voto per governare insieme e non per riportare per l’ennesima volta il Pd al governo. E per governare insieme la regola che ci siamo dati anni fa è altrettanto trasparente: il primo partito della coalizione esprimerà il premier. Noi su questo siamo sempre stati chiari, non percepisco la stessa chiarezza negli altri. Per me la chiarezza delle regole è una condizione essenziale per la coalizione». Un richiamo alle regole che vale anche rispetto alle prossime regionali, dove la linea è sempre stata che «un governatore uscente, che ha governato bene e intende ripresentarsi, viene ricandidato». Vale per Fontana, investito da Salvini della ricandidatura in Lombardia, e deve valere per Musumeci in Sicilia.

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