Produciamo 260 milioni di tonnellate di plastica all’anno, il 10% finisce in mare. E quell’isola…

25 Mag 2022 12:39 - di Valerio Scambelluri

Riceviamo da Valerio Scambelluri e volentieri pubblichiamo

In tempo di vacanze tante sono le isole nella quali stiamo pensando di trascorrere le prossime vacanze. Ma tra queste ce n’è una nell’Oceano Pacifico che probabilmente non vorremmo mai visitare, la Great Pacific Garbage Patch, anche se inconsapevolmente è proprio l’uomo che, abbandonando bottiglie ed altri oggetti in plastica, l’ha completamente creata. Sono circa 260.000.000 di tonnellate di plastica prodotti all’anno dall’uomo, dei quali il 10% finisce in mare, l’equivalente dell’80% dei rifiuti che troviamo nelle acque del mondo. Per capire meglio quanta plastica produciamo ogni anno è il caso di sapere che è lo stesso peso di quasi 175.000 automobili Suv o di 1.300.000 scooteroni, una quantità enorme che sta provocando ingenti danni agli ecosistemi ed alla salute degli organismi viventi, uomini compresi. 

La plastica e il rischio sanitario

«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». Il chimico e fisico francese Antoine-Laurent Lavoisier, quando a fine 1700 pronunciò questa frase, probabilmente non aveva immaginato che quello che poteva essere una semplice legge chimica oggi è un obbligo al quale siamo costretti a dover ricorrere il prima possibile. Negli ultimi 100 anni, con il cambio radicale dei nostri consumi, le materie prime che, senza immaginarne il problema, abbandoniamo per strada o ancora peggio lungo i fiumi (tante metropoli europee sono percorse dai loro fiumi), magari dopo un momento di festa e di allegria, col passare del tempo ci tornano indietro procurando gravissimi problemi per la nostra salute.

I dati del Wwf

Secondo i dati del WWF sono oltre 267 le specie marine che presentano nei loro stomaci rifiuti di plastica, causando ogni anno la morte di milioni di esemplari. Da vari studi, il docente universitario inglese Peter Hollman,  afferma che se le pur elevate concentrazioni di microplastiche nei pesci, vengono da loro stessi nella maggior parte eliminate, ciò non avviene però nei crostacei e nei molluschi bivalvi, come le ostriche e le cozze, per cui ingerendoli sarà l’uomo che si esporrà pericolosamente a queste microplastiche. Secondo Frank Kelly, professore del King College di Londra, queste particelle minuscole potrebbero finire anche nell’aria e quindi essere inalate dall’uomo, portando con loro sostanze chimiche, fino ad arrivare nei nostri polmoni e forse anche in tutta la circolazione, danneggiando la nostra salute.

L’azione delle molecole

La professoressa Anna Maria Papini – ricercatrice nei laboratori PeptLab-MoD&LS dell’Università di Firenze dove sono stati fatti  numerosi studi in collaborazione con i centri ospedalieri di Parma, Reggio Emilia e Cagliari evidenzia come alcune molecole (interferenti endocrini, quali ftalati, bisfenoli, parabeni, idrocarburi policiclici aromatici, glifosato, pesticidi, insetticidi piretroidi, metalli pesanti ecc.) rilasciate  da ogni tipo di micro e nanoplastiche, possono agire a concentrazioni molto basse, raggiungendo l’organismo attraverso gli alimenti, l’ambiente, l’aria, l’acqua, il suolo, ma anche per contatto diretto, oppure, nel caso del bambino in sviluppo, attraverso la placenta o il latte materno, alterando l’equilibrio ormonale; a tali contaminazioni risultano correlate patologie metaboliche, autoimmuni, neurologiche, dello spettro autistico.

L’esposizione agli interferenti endocrini

Con tali ricerche si vuole contribuire a ridurre l’esposizione agli interferenti endocrini, analizzando il latte materno e artificiale con lo sviluppo fisiologico e neuro-comportamentale del bambino, in relazione alle abitudini di vita e di alimentazione della madre. Il progetto co-finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma “LIFE ambiente e salute”, sulla base dei risultati scientifici che si stanno ottenendo su circa 500 coppie madre-bambino, promuoverà una campagna di prevenzione rivolta principalmente alle donne in gravidanza e in fase di allattamento. Sarà importante organizzare un tavolo tecnico con la comunità europea per ridurre drasticamente la presenza delle molecole più pericolose, confrontandosi anche con operatori commerciali coinvolti nella produzione di alimenti, per arrivare alla commercializzazione di prodotti privi di interferenti endocrini (EDC free).

La ricerca nell’Università di Newcastle a Sydney in Australia

È stata fatta contemporaneamente una una ricerca nell’Università di Newcastle a Sydney in Australia, commissionata dal WWF, dalla quale si evince che ogni persona quotidianamente  ‘mangia’ la plastica. Se ne ingeriscono fino a 2000 minuscoli frammenti per settimana, che corrispondono a circa 5 grammi, l’equivalente in peso di una carta di credito. Di queste la maggior parte delle particelle, normalmente sotto i 5 millimetri, vengono assunte con l’acqua che si beve sia dalla bottiglia che dal rubinetto. La microplastica è infatti presente nell’acqua di tutto il mondo partendo da quella di superficie per finire nelle falde; frutti di mare, birra e sale sono gli alimentari con i più alti livelli registrati.

La soluzione

“Basterebbe”, ci dice Edoardo Roberto, ingegnere ambientalista ed attivissimo membro del Rotary club Foro Italico, organizzatore della tre giorni appena conclusa che ha visto anche quest’anno la collaborazione con Marevivo, “rispettare i contratti di fiume, ovvero accordi da anni esistenti in varie parti d’Europa, tra le istituzioni competenti ed il privato che si assume la responsabilità di curare e manutenere ogni singolo fiume, evitando così il loro utilizzo sfrenato e spesso inquinante, per far si che possano essere vissuti senza abbandonare quei materiali di scarto che prima o poi troveremo nelle falde acquifere, nei  mari e negli oceani. nSi dovrebbe iniziare con l’educazione ambientale dei giovani per far capire loro quali beni preziosi abbiamo in natura che stiamo piano piano distruggendo, creandoci noi stessi quei problemi di salute che poi dovremo andare a combattere. Stanno per arrivare i fondi del PNRR, chissà se le istituzioni competenti proveranno a sfruttare questa opportunità per far si che il mondo possa tornare pulito come tutti vorremmo”.

 

 

 

 

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