La felpa di Zelensky venduta all’asta per 90mila sterline. Boris Johnson battitore d’eccezione

7 Mag 2022 13:31 - di Federica Argento
Felpa Zelensky

La famosa felpa di pile color kaki del presidente Volodymyr Zelensky è stata venduta per 90mila sterline (circa 105.000 euro) in un’asta da Christie’s di raccolta fondi per l’Ucraina a Londra. Lo scrivono i media internazionali riportando le parole del premier britannico Boris Johnson – battitore d’asta d’eccezione- che ha esortato la gente a “spendere alla grande”, definendo il presidente ucraino “uno dei leader più incredibili dei tempi moderni”. Tra i lotti presentati all’asta anche la brocca a forma di gallo regalata a Johnson durante la passeggiata dei giorni scorsi con Zelensky nella capitale ucraina.

La felpa di Zelensky battuta all’asta da Boris Johnson

La felpa di pile color cachi è diventata in questi mesi di tragedia un’immagione iconica. Indossata da  Volodymyr Zelensky  in tutte le dirette tv e sui social dal 24 febbraio, giorno dell’invasione russa dell’Ucraina. Battitore dell’asta il premier Johnson in persona, circostanza irrituale. Boris Johnson  ha subito suggerito che il prezzo dell’indumento avrebbe dovuto essere di gran lunga superiore alle 50mila sterline con cui la felpa di Zelensky avrebbe dovuto essere venduta secondo il prezzo iniziale. E’ riuscito pertanto a far lievitare le offerte a 90mila sterline – quasi il doppio del prezzo di partenza- definendo il presidente ucraino “uno dei leader più incredibili dei tempi moderni”.

Johnson e lo “schiaffone” elettorale

Il premier britannico si rifugia da Christie’s e nella raccolta fondi per l’Ucraina per mascherare l “botta” presa alle elezioni amministrative. Il risultato negativo era atteso, ma probabilmente non nelle proporzioni con cui è maturato. Un dato elettorale di metà termine che non mette a rischio la sua ltrona ma che sicuramente mette in grande difficoltà i Tory, il partito conservatore. Johnson ha paga il coinvolgimento in prima persona nello scandalo Partygate: ovvero la scandalo dei ritrovi organizzati in barba alle regole anti Covid a Downing Street in epoca di lockdown. Ma pesa anche lo scenario economico negativo segnato dal ritorno dell’inflazione e del caro bollette. In totale al voto sono andati 146 consigli comunali e locali. I Tories ne hanno persi una decina sugli oltre 30 che guidavano dal 2018, lasciando per strada il seggio di circa 300 consiglieri su quasi 2000.

Il caso Belfast

A rischiare di destabilizzare il Paese è in realtà soprattutto l’epilogo del voto cruciale per il Parlamento locale di Belfast: con l’inedito sorpasso ai repubblicani cattolici dello Sinn Fein (sulla carta sostenitori della riunificazione con Dublino) come primo partito e forza di maggioranza relativa dell’Irlanda del Nord sugli unionisti protestanti del Dup destinato ad aggravare le tensioni già riaccese dal dopo Brexit, riporta Rai news.

Lo scivolone di Londra

A minacciare il Partito conservatore e il governo centrale è soprattutto lo scivolone di Londra: metropoli di cui Boris è stato per 8 anni sindaco popolare e dove i suoi cedono ora al Labour 3 Municipi circoscrizionali simbolo (fra 32 complessivi della capitale) come quello di Westminster (cuore dei palazzi del potere), di Barnet (a forte presenza ebraica) e di Wandsworth (feudo caro a Margaret Thatcher). Come battitore d’asta, di questi tempi, ha avuto più successo.

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