“Da Vacchi parolacce e bestemmie, che stress i video su Tiktok”. L’intervista-denuncia della colf filippina

28 Mag 2022 8:44 - di Marta Lima

Bufera sul noto milionario influencer Gianluca Vacchi, in questi giorni protagonista di un documentario su Amazon Prime dal titolo “Mucho mas”, trascinato davanti al tribunale del lavoro da una colf filippina di 44 anni con l’accusa di sfruttamento e vessazioni. La donna, nell’atto di citazione civile in cui ripercorre i suoi tre anni e mezzo (dal 25 maggio 2017 al 10 dicembre 2020) a casa dell’imprenditore-influencer, la donna racconta che i video che Vacchi realizzava per TikTok erano una fonte di “stress tra il personale” perché se gli stessi suoi dipendenti non ballavano “a tempo di musica”, se i balletti non “venivano eseguiti perfettamente”, si “scatenava la rabbia di Vacchi che inveiva contro i domestici, lanciando il cellulare e spaccando la lampada usata per le riprese”.

Gianluca Vacchi e le presunte vessazioni alla colf filippina per TikTok

La domestica, che non sarebbe la sola ad avere fatto causa a Vacchi perché anche due suoi ex dipendenti gli hanno chiesto un risarcimento, racconta che a fronte di un contratto di lavoro che prevedeva sei ore al giorno per sei giorni a settimana, avrebbe lavorato anche venti ore al giorno senza interruzione, senza beneficiare del riposo settimanale e senza nemmeno gli straordinari pagati. L’ex colf di Vacchi nell’atto racconta anche altri episodi spiacevoli, come l’ipotesi di multe da 100 euro nei confronti dei dipendenti qualora avessero dimenticato qualche accessorio o capo d’abbigliamento dell’influencer nel preparargli i bagagli. La goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stato il contratto di riservatezza che Vacchi avrebbe chiesto alla domestica di firmare. Un documento che avrebbe previsto una penale da 50mila euro se la donna avesse divulgato informazioni a terzi. L’epilogo è stato il “licenziamento” subito anche da “altri collaboratori”, si legge nell’atto di citazione civile. Adesso la 44enne filippina chiede a Vacchi un risarcimento pari a 70mila euro. La parola ora passa al tribunale che dovrebbe decidere a novembre.

L’intervista-denuncia con i dettagli delle accuse

Oggi “Repubblica” pubblica una lunga intervista alla colf filippina Laluna Maricris Bantugon che accusa Vacchi di averla fatta lavorare ad oltranza, «più di 20 ore al giorno», e di averle bruciato numerosi giorni di «ferie e di riposi settimanali». Ma non erano solo gli orari disumani, secondo la sue versione, i problemi a casa Vacchi. Girare i TikTok che lo hanno reso celebre «era fonte di stress».

«In alcuni casi dovevamo partecipare in prima persona ai video, anche se non volevamo comparire. Dovevamo presentarci vestiti con il grembiule da cameriere. Una volta abbiamo girato un filmato con dei colleghi maschi, uno ha sbagliato una mossa e lui gli ha dato una botta sul petto».

Ma c’è di più, secondo la colf filippina: «Quando lui cercava le medicine che aveva perso e non trovava più. Ci convocava e noi andavamo in bagno a cercarle. Intanto, mentre noi frugavamo nei cassetti, lui ci lanciava addosso delle bottiglie. Diceva un sacco di parolacce, bestemmiava. Non ho mai sentito una persona dire così tante parolacce come lui. Mi è capitato di lavorare anche di più. Per dieci giorni senza interruzione dalle 8 di mattina sino alle 6 del giorno successivo. Questo è accaduto a Milano nel 2017. In quel periodo le altre mie colleghe erano scappate via. Per questo eravamo rimasti in pochi. C’erano in tutto 11 dipendenti, poi molti di loro hanno dato le dimissioni perché non riuscivano a tenere il ritmo. E così siamo rimasti in tre, di cui una in malattia. Quindi eravamo in due. Perciò non mi fermavo mai. Poi Vacchi mi portò a Milano e la mia condizione peggiorò ulteriormente, ero l’unica domestica tuttofare. Fu un periodo terribile. Dieci giorni in cui non ho praticamente mai riposato. C’erano sempre degli ospiti che arrivavano a tutte le ore del giorno e della notte. Ricordo che alle sei e mezza di mattina arrivava la massaggiatrice e dovevo aprire io dopo i party notturni in cui avevo servito».

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