Strage di Bologna: è morto Sergio Picciafuoco, l'”ultimo dei Picari”. La lunga battaglia giudiziaria
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e pubblichiamo
È morto Sergio Picciafuoco, l'”ultimo dei Picari” Sergio Picciafuoco è morto, tradito dal cuore a 76 anni, nella sua casa di Castelfidardo. L’”ultimo dei Picari”, come lo definì Marc’Antonio Bezicheri, l’avvocato che lo difese e lo fece assolvere definitivamente dall’accusa di aver avuto un ruolo nella Strage di Bologna, al termine di una lunghissima, quasi eroica battaglia giudiziaria. Picciafuoco non è stata certamente una brava persona: ladro, ricettatore, sempre a caccia di espedienti per “tirare a campare”, il fatidico 2 agosto 1980 si trovò a passare per la stazione del capoluogo emiliano.
La battaglia giudiziaria di Sergio Picciafuoco
Quella sfortunata coincidenza indusse gli inquirenti a coinvolgerlo nell’attentato, anche perché, segnalato dai carabinieri marchigiani come frequentatore di “Radio Mantakas”, Picciafuoco non poteva che essere un estremista di destra, per di più legato direttamente al gruppo di Valerio Fioravanti. Figura per molti versi simile a quella di Massimo Sparti – piccolo delinquente e, quindi, almeno in teoria, facilmente incline a essere ricattato e condizionato o, tutt’al più, “comprato” -, anche a lui furono fatte “offerte” non indifferenti, al fine di trasformarlo in un “pentito” in grado di inchiodare gli imputati del primo processo per il 2 agosto ’80. Contrariamente a Sparti, però, sfidando le ire degli inquirenti e sopportando non una, ma addirittura due condanne all’ergastolo in primo e secondo grado, non si piegò mai alle lusinghe di una “giustizia” che, a Bologna, negli anni ’80, spesso fu tale solo nella definizione formale.
L’ergastolo fu in seguito annullato
A “inchiodarlo” alla consumazione della strage, secondo gli investigatori, sarebbe stato proprio Gilberto Cavallini, avendo quest’ultimo appuntato anche il suo nome nell’elenco di “amici” e “camerati” in galera che aveva stilato e che gli fu trovato addosso al momento dell’arresto, nel 1983. A nulla valsero, per anni, le spiegazioni dello stesso Cavallini, il quale fece notare come, in quell’elenco, figurassero, oltre a Picciafuoco, anche altre persone da lui non conosciute personalmente, avendolo compilato mettendo insieme i nomi che via via accampavano sui giornali. Come detto, l’11 luglio 1988, Picciafuoco (qui in una foto Ansa del 1996) venne condannato alla pena massima, ma quella sentenza venne annullata in Appello esattamente 2 anni dopo (18 luglio 1990). Annullata anche questa seconda sentenza dalla Cassazione (12 febbraio 1992) e ordinato un nuovo Appello, fu nuovamente condannato all’ergastolo (16 maggio 1994). La Cassazione, però, pur confermando questa seconda sentenza per gli altri imputati (23 novembre 1995), annullò il verdetto a carico di Picciafuoco, per il quale dispose un terzo processo di Appello.
La malattia
Celebrato a Firenze, Picciafuoco venne assolto da ogni accusa (18 giugno 1996) e la sua innocenza venne definitivamente cristallizzata dalla Cassazione il 15 aprile del 1997. Ciò non ostante, Picciafuoco rimase ancora nel mirino degli inquirenti bolognesi che, anche nei più recenti processi a Cavallini e Paolo Bellini, hanno tentato di coinvolgerlo a dispetto dell’esito degli innumerevoli, precedenti processi e di uno stato di salute degradatosi irrimediabilmente. Prima di ammalarsi a sua volta, negli anni 2009/2010, quando seppe del male invalidante che aveva colpito Bezicheri, il legale che tanto coraggiosamente e gratuitamente lo aveva sempre difeso, si trasferì temporaneamente a Bologna per lungo tempo, per assistere il suo avvocato sino al triste e finale esito della malattia.