Francesco Biamonti, la solitudine dello scrittore ligure che scelse la sua “piccola Patria” come stile
Le date sul calendario corrono, scorrono, bruciano la possibilità di darci un motivo di parlare di “qualcuno”, di cui troviamo giusto, e anche necessario dover parlare.Per darci un pretesto, ci aggrappiamo allora a un anniversario di nascitata. Per non mancare a un sentito appuntamento. Salviamo quel 3 marzo 1928, data della nascita nel piccolo centro ligure di San Biagio della Cima dello scrittore Francesco Biamonti. Autore che si era ben mimetizzato per anni tra le coltivazioni a terrazza degli ulivi, della cui allocazione conosceva bene la durezza del lavoro che comportava, e la vista dello splendido mare. Una vita, quella dell’autore ligure, quasi studiata al millimetro per non subire “traumatici scossoni”, derivanti dal mettersi in mostra in qualche modo. Dal farsi notare in qualche modo. Atteggiamento di consapevole umiltà, istoriato nella carne viva di un’antica saggezza.
Francesco Biamonti, un irregolare
Diplomato ragioniere, per anni bibliotecario di Ventimiglia. Intento, su un suo appezzamento di terreno alla coltivazione delle mimose. Cosa questa, che come dicono alcuni fu una semplice leggenda (in questo caso non metropolitana, bensì rurale) creata su di lui, dalla casa editrice Einaudi. La presunta attività agricola, si svolgeva a San Biagio, il suo paese d’origine in provincia d’Imperia. Luogo dove si spegnerà nel 2001. Pianta delle mimose alle quali a un certo punto furono preferite il mirto e il lentisco. Considerate dal coltivatore piante più umili “che sanno di tenebra”. Considerazioni, che danno già la misura degli scenari, che Biamonti, tratteggia ben oltre le“covate”, di un realismo senza spina dorsale.Era riuscito a tenersi nascosto alla platea della vita. Per un lungo periodo.
Riuscì a “mimetizzarsi”
Anonimo, riuscendo perfino a mimetizzarsi, lavorando in banca per un breve periodo. Ma il lavoro quotidiano da bibliotecario, mansione che svolse per qualche decennio, gli offrì, la possibilità di accumularemateriale dinamitardo e visionario, capace di far saltare la scorza di riserbo di quell’uomo dai gusti asciutti e austeri. Riservato, taciturno, come ogni buon ligure. Scruta l’andamento, nell’acqua salmastra di qualche slanciato veliero. Temporeggiò un discreto periodo, “prima di esistere”. Scelse di farlo senza rinvii ulteriori, dedicandosi pienamente alla scrittura, senza tappe intermedie come il giornalismo. Nel 1983, a cinquantacinque anni, con “L’angelo di Avrigue”, e l’entusiastico beneplacito di Italo Calvino, fu pubblicato dalla Einaudi. Un marinaio, stanco d’imbarcarsi, con le lamiere del cargo che imprecano, per l’impatto costante coi marosi. Il protagonista, scopre di amare più la sua terra. Ma il rapporto non tanto, dei personaggi di Biamonti, quanto del suo “pellegrinaggio” di scrittura apparentemente statica, flirta con la spocchia dei disperati tra mare, cielo e terra. Sul suo Bollettino del Navigante, individua bene dei punti certi, estremi assoluti:
Silenzi e interrogativi metafisici
“Ci sono tre grandi personaggi nel Mediterraneo il Golfo di Genova (Montale), il Golfo di Marsiglia (Valery) e il Golfo di Orano (Camus) che hanno creato una civiltà letteraria legata alle cose, in cui le cose parlano al posto dell’uomo… è una civiltà data dalla luce e dal sapere dalla lucidità e dalla corrosione”.La terra scoscesa, a picco sul mare, sempre sul punto di trasformarsi in frana o voragine, trattenuta a stento dalle radici di viti e ulivi, irrorati dalle imprecazioni per la fatica e il sudoredei contadini. Questo, è il fremito che, come le mareggiate anima le sue pagine. Biamonti, fieramente rivendica le origini contadine, dalle quali estrapola analogie folgoranti con la vita. Quali il lento fenomeno della “corrosione”, che è speculare alla terra e alla vita. Del 1991 la sua seconda uscita editoriale “Vento largo”, libro dalla trama che fa capo a Varì uomo che tutta la vita ha fatto il passeur. Attività, consistente nell’aiutare persone, indicando e facendo attraversare per sentieri impervi, sconosciuti ai più la frontiera ligure con quella francese. Passaggi clandestini. Di persone dalle esistenze controverse, alcune non specchiate. Tutti segnati dallo spirare del vento di damo, congiunzione atmosferica che rende l’uomo malinconico e angosciato. I personaggi ai quali dà vita l’autore, sono figure compresse tra la “scelta del mare” o la “scelta della terra”.
Su uno sfondo di silenzi, solitudini e interrogativi metafisici.“Attesa sul mare”, libro pubblicato sempre con Einaudi nel 2008, dove un marinaio accetta, con l’intenzione che sia l’ultimo, un ingaggio per un viaggio nel quale anche gli altri imbarcati, non parlano, evitano di affrontare allusioni, apprezzamenti, valutazioni su cosa stanno trasportando. Quell’ultimo lavoro, scava, ulcerandola la coscienza di ognuno dei partecipanti al viaggio. Cosa necessaria per poter trasportare il materiale da dover sbarcare. La prima anima a entrare in fibrillazioneè quella di Eduardo il protagonista. Nelle guerre fratricide tra le popolazioni slave, seguite alla dissoluzione della Jugoslavia, l’imbarcazione sulla quale sta’ il marinaio all’ultimo ingaggio, come altre, si mette a disposizione per saziare la fame di attrezzature belliche, che a causa della guerra dilaga sulle coste slave del Mare Adriatico. La merce che tutti sapevano fosse a bordo, ma della quale nessuno osava parlare era un carico d’armi. All’imbarcazione improvvisamente non giungono più le disposizioni sul da farsi che giungevano via radio. Si crea un vuoto. Uno spazio indefinito d’attesa.Dalle tinte innaturali. Ognuno s’interroga sul da farsi, del carico imbarazzante, dei propri capisaldi morali. Di sé stessi. Il senso di smarrimento, in un mondo quello dell’autore “incui le cose parlano al posto dell’uomo”.
L’esempio di Carlo Sgorlon
Ritroviamo, nello scrittore ligure, con accenti nettamente diversi, ma che per alcuni versi ce lo ricordano, quello spessore di vissuto, di cui trattano nelle loro opere Gonfalonieri delle piccole patrie quali Carlo Sgorlon con il suo Friuli. Evocato tra le ombre fiammeggianti dei visi e delle mura adiacenti ai camini accesi. Alle saghe di contrapposizione dal sapore Guascone tra nebbie del Po, Peppone e Don Camillo, create da Guareschi. Come loro, Biamonti parte dal piccolo fragile appezzamento della terra, quella propria. Natia. Con i suoi usi i suoi misteri. Sempre desta è, nelle figure tratteggiate dal Biamonti la tentazione del mare. Costantemente affascinante, nella sua talvolta drammatica volubilità.Del suo essere l’ignoto senza fine. Il mondo, nel frattempo si trasformava intorno a Biamonti. Lo percepiva chiaramente a cominciare dalla volgarità della nascita di alcuni insediamenti urbani. Spuntati, su aree malamente scippate all’antico equilibrio del territorio. Nonostante questo, le coordinate creative per lo scrittore rimanevano la cicatrice dell’estremo ponente ligure e il mare. Trattati, con una scrittura verticale che irrora di contrastanti anfratti il paesaggio della vita.
L’inedito
Un personaggio anomalo, rispetto ai comportamenti diffusi in quel periodo d’esistenza che ha costeggiato la sua vita. Ci lascerà con il romanzo sulla scrivania, rimasto incompiuto, a causa del male che riuscii ad avere ragione di lui, dal titolo indicativo “Il silenzio”. Luogo esistenziale, da assaporare, con la cannuccia per poterne bere la pozione magica: “Adesso c’era silenzio. Ma che sere. Che melodie!Grumo di tenerezza: pastore, cane e capre avvolti dal vento che saliva dal mare. Mano del pastore sulla testa del cane, e muso del cane sulle ginocchia del pastore. Suonava per lui e per il suo cane, tra l’indifferenza delle capre. Adesso c’era silenzio. E nulla su cui sperare”. Considerazione aspra e severa maturata da un poetache sapeva apprezzare le cose necessarie, tipo la carezza al cane, che di fronte al suo mare e allo stormire delle frondedegli ulivi non gli sembravano però sufficienti. Impermeabile come era alle lusinghe di una modernità dal palato primordiale.