Usa, assalto al Congresso: la Corte Suprema rigetta il ricorso di Donald Trump
La Corte Suprema degli Stati Uniti non ha accolto il ricorso presentato da Donald Trump per bloccare l’accesso alle carte della sua amministrazione da parte della Commissione della Camera – a guida democratica è composta da repubblicani nemici del tycoon – che sta indagando sull’assalto al Congresso da parte dei sostenitori dell’ex presidente.
La decisione della Corte, arrivata con un ordine che non reca la firma di nessuno dei sommi giudici né alcun commento, arriva dopo che nelle scorse settimane la stessa Corte aveva negato un intervento di emergenza, permettendo così che iniziasse la consegna dei documenti da parte degli Archivi Nazionali agli investigatori del Congresso.
La sentenza di oggi mette così definitivamente fine al tentativo dell’ex presidente di impedire alla Commissione di acquisire le copie della sua agenda, i registri delle telefonate fatte e ricevute, le copie di mail ed altri documenti che secondo gli inquirenti potrebbero aiutare ad illuminare circostanze chiave relative all’assalto al Congresso.
I sommi giudici infatti hanno confermato le sentenze delle corti di grado inferiore che non hanno considerata valida la protezione del privilegio esecutivo, invocata dall’ex presidente, ma non appoggiata dall’attuale inquilino della Casa Bianca, Joe Biden.
Già quando lo scorso 19 gennaio la Corte aveva negato a Trump l’intervento di emergenza, permettendo così l’inizio della consegna delle carte che l’ex presidente voleva mantenere segrete, il presidente della commissione, il democratico Bennie Thompson, e la vice presidente, la repubblicana anti-Trump Liz Cheney, avevano parlato di “vittoria dello stato di diritto e della democrazia americana“.
Ma è chiaramente una mossa esclusivamente politica, l’ennesimo tentativo di azzoppare Donald Trump dopo aver fatto decine di altri tentativi finiti nel nulla.
Proprio qualche giorno fa Trump ha dato il via libera al suo nuovo Social che dovrebbe consentirgli di bypassare il muro eretto dagli imprenditori della Silicon Valley che lo hanno bannato da Instagram, Facebook, Twitter.