Presidenzialismo, la provocazione di Valentino: «Giusta l’elezione diretta ai tempi del populismo»

16 Feb 2022 18:40 - di Annamaria Gravino
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«È il nostro ruolo, la Fondazione An deve assolvere al compito di realtà culturale, coinvolgendo le intelligenze più significative della cultura della destra, per dare seguito ai nostri valori di riferimento e adeguare un pensiero antico alle esigenze dei tempi che viviamo». All’indomani del convegno sul presidenzialismo, promosso da Realtà Nuova e ospitato nella sala convegni di via della Scrofa, il presidente della Fondazione, Giuseppe Valentino, traccia un bilancio di un «dibattito aperto», propositivo, nel quale si sono confrontati diversi punti di vista sulle modalità per portare a buon fine questa storica battaglia della destra, ora che l’elezione di Mattarella ne ha reso ancora più evidente la necessità.

Presidente, una settimana fa avete ospitato un evento per il Giorno del Ricordo, il 7 marzo sarà la volta di uno sul “Ruolo storico della donna per mantenere la pace”, ieri il convegno sul presidenzialismo. La Fondazione ha ripreso a pieno le proprie attività?

In realtà, non le abbiamo mai interrotte. Certo, questi due anni cupi non ci hanno consentito di realizzare tutto quello che avremmo voluto, ma la Fondazione è e ha continuato a essere la casa in cui può ritrovarsi unito tutto quel mondo che fa riferimento alla destra.

Ieri lei doveva portare solo un saluto, invece ha finito per lanciare quella che ha definito una «provocazione» sul tema del populismo in relazione al presidenzialismo.

È in atto un dibattito su temi che appartengono storicamente alla cultura politica delle destra, naturalmente rivisitati alla luce del tempo e delle contingenze. Abbiamo parlato di repubblica presidenziale, presidenzialismo ed elezione diretta del Capo dello Stato. Ci siamo tutti interrogati se si tratti di mutamenti opportuni oppure indotti da problemi che non si è riusciti a risolvere nel tempo. Anche se dovevo fare solo un saluto, ho introdotto questa piccola provocazione: il populismo, che ormai accompagna gli eventi e, sovente, li determina, può essere condizione idonea per poter poi affidare ai cittadini la scelta del Capo dello Stato?

Molti commentatori usano la parola populismo in chiave denigratoria…

Per noi, invece, la risposta è: sì, il populismo che viviamo è una condizione attuale. Il Capo dello Stato deve essere interprete in ogni momento del livello culturale e dello stato d’animo del Paese. Poi, certo, il tema offre valutazioni ulteriori, ma la mia era solo una provocazione, uno spunto per ascoltare l’opinione di dotti esperti.

Un altro spunto molto discusso è stato rappresentato dalla rielezione del presidente Mattarella, lei ha ricordato che «molti di noi non avevano dubbi sul fatto che non sarebbe cambiato niente».

Quello che è successo con la rielezione di Mattarella è stato il punto di partenza della riflessione vista anche in occasione della rielezione di Napolitano. Entrambi sono stati rieletti perché non si trovavano le condizioni per ipotizzare nuove soluzioni. Questo significa che la politica si è fermata, che non è più in grado di creare nuovi stimoli, che ha paura di affrontare l’incognita di una presenza ai vertici dello Stato in grado di essere compatibile e coerente con i mutamenti che si sono determinati nel corso degli anni.

Questo è stato uno degli aspetti su cui tutti i relatori si sono trovati d’accordo. Per il resto si è trattato di un dibattito piuttosto aperto, anche sul tema del proporzionale. È possibile una sintesi?

Tutti convenivano sull’opportunità dell’elezione diretta del Capo dello Stato, le posizioni diverse le abbiamo viste sulle tattiche per arrivarci. Il proporzionale era stata una proposta caratterizzante la linea politica del Msi, nell’ottica della democrazia della partecipazione. Era un clima diverso. Ogni eletto era sottoposto al giudizio degli elettori, che avevano modo di apprezzarlo e sceglierlo.

A molte delle difficoltà di cui parlava la cultura politica della destra cerca di rispondere da anni, la stessa battaglia storica per il presidenzialismo ne è esempio. Perché siamo ancora a questo punto?

Perché dette da noi alcune battaglie suonavano problematiche. Non si coglieva l’opportunità che era immaginata rispetto alla democrazia della partecipazione, sembrava quasi si volesse ricostruire un passato consegnato alla storia. Il Msi prospettava le soluzioni per risolvere complessi problemi e talvolta erano soluzioni condivise, ma non accettate perché eravamo noi i proponenti. In ogni modo, alcuni temi che appartenevano storicamente al nostro mondo politico, si sono in seguito realizzati. Penso, per esempio, alla riduzione del numero dei parlamentari, proposta di cui nessuno ha ricordato l’origine.

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