Il discorso di insediamento di Mattarella: bacchettate su giustizia e rispetto del Parlamento (video)

3 Feb 2022 17:14 - di Agnese Russo
mattarella

Una prima parte tutta orientata a sostenere le ragioni che hanno portato al bis, fatta di richiami all’agenda di governo, all’emergenza pandemia, alla necessità di evitare l’incertezza. Una seconda dedicata all’urgenza delle riforme, con bacchettate al governo, alla magistratura e, in fin dei conti, anche al Parlamento. Infine, una lunga lista di ringraziamenti, da Papa Francesco agli italiani all’estero, e di avvertimenti su tutte le storture che inficiano la dignità del Paese, che deve essere «la pietra angolare del nostro impegno e della nostra passione politica». Nel suo discorso d’insediamento, durato circa un’ora, Sergio Mattarella ha parlato di tutto quello che ci si aspettava e, forse, l’unica vera sorpresa è stato un passaggio sugli studenti, la cui «voce va ascoltata», che è parsa come una tirata d’orecchi al ministro Lamorgese, all’indomani delle manifestazioni finite con le manganellate.

Le parole sulla «dignità, pietra angolare del nostro impegno»

Mattarella ha inserito l’ascolto dei giovani tra i fattori di «dignità» cui non ci si può sottrarre, insieme alla lotta alle morti sul lavoro, per le quali ha citato quella dello studente Lorenzo Parelli, alla violenza sulle donne, alla povertà e alle disuguaglianze, alla tratta degli esseri umani, alla garanzia del diritto allo studio e al riconoscimento di un ruolo per gli anziani. E, ancora, maternità, precariato, disabilità, mafie, carceri, informazione. Tutti temi che Mattarella ha voluto richiamare all’attenzione dell’impegno della politica e della società. Tutti temi che gli sono valsi ripetute interruzioni con applausi scroscianti e standing ovation. In una quantità probabilmente inedita.

Matterella interrotto da 19 standing ovation e 53 applausi

Il discorso del presidente della Repubblica è stato applauditissimo, forse anche troppo. Sembrava di assistere anche in questo caso a un bis: quello del giorno dell’elezione, quando lo strabordante entusiasmo per un esito ormai scontatissimo ha finito per trasmettere la sensazione di una cattiva coscienza da parte dei parlamentari. O, magari, solo il sollievo dello scampato pericolo. Perché va bene la standing ovation quando Mattarella ha citato i medici o le forze dell’ordine, va bene la standing ovation quando ha ricordato David Sassoli e Monica Vitti, va bene la standing ovation all’ingresso e all’uscita dall’Aula, ma 19 standing ovation e 53 interruzioni con applausi più che di grande ammirazione, parlano di grande imbarazzo.

Il richiamo al governo sul rispetto del Parlamento

Mattarella, del resto, qualche frecciata l’ha mandata un po’ a tutti. Ha ringraziato fortemente Mario Draghi e ha detto che ha il suo pieno sostegno, ma poi ha avvertito anche che il Parlamento non può essere bypassato, addirittura arrivando a citare i regimi autocratici per mettere in guardia da certe derive. «Al Parlamento devono essere garantiti tempi adeguati per esaminare le misure del governo», ha detto, chiarendo che l’esigenza della «tempestività decisionale» non può scavalcare le «garanzie democratiche». Mattarella ha indugiato sul tema, richiamando però anche le Camere a fare la propria parte, con l’aggiornamento dei meccanismi della democrazia, attraverso le riforme, certo, ma anche attraverso quello che concerne il proprio meccanismo interno: regolamenti e procedure.

La giustizia «ha bisogno di profonde riforme»

È stato però probabilmente il comparto giustizia quello con cui il Capo dello Stato ci è andato giù più duro. «Ha bisogno – ha detto – di profonde riforme», rispetto alle quali non si può più indugiare. Bisogna metterle in campo con «immediatezza», perché il Csm «superi le logiche di appartenenza»; perché tutto il settore recuperi «prestigio e credibilità»; perché i cittadini torni ad «avere fiducia», senza sentirsi più in balia di «decisioni arbitrarie e imprevedibili». «Non possiamo permetterci ritardi, né incertezze», aveva avvertito Mattarella in apertura del discorso, che poi ha concluso con il più inossidabile degli evergreen: «Viva la Repubblica, viva l’Italia».

 

 

 

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