Informazione, i “giornali d’idee” non sono reliquie del passato. I dati del Secolo d’Italia lo dimostrano
Sono almeno due le conclusioni da trarre dall’analisi dei lusinghieri dati registrati dal Secolo d’Italia, sia relativamente all’incremento del numero dei lettori sia a quello della raccolta pubblicitaria. La prima: i giornali d’idee, quelli che un tempo costituivano l’orgogliosa riserva dei quotidiani di partito, conservano una loro ragion d’essere nel panorama editoriale. La seconda, più generale, ci dice che aveva torto chi vedeva nell’affermarsi della Rete e nella tracimazione dell’informazione via social, soprattutto presso i giovani, la fine del giornalismo tradizionale. Sul primo aspetto, i dati di diffusione pubblicati testimoniano che la vitalità di una testata non risulta affatto incrinata né tantomeno compromessa dalla sua identità politica.
Più news, meno partito
Significa che l’essere il Secolo d’Italia conosciuto e riconosciuto come giornale di riferimento di una precisa area politica (destra-centro) non solo non ne ha depresso le performance editoriali, ma ne ha persino accresciuto l’appeal presso i navigatori del web. Non era scontato. Certo, in ciò la testata beneficia dell’allargamento del consenso politico in favore di quella stessa area, in particolare del suo segmento di destra, cioè Fratelli d’Italia. Ma è altrettanto vero che, quanto ai contenuti, una volta scelto il web quale area esclusiva di diffusione, il nostro giornale ha progressivamente accentuato il proprio profilo generalista attenuando quello tradizionale (e cartaceo) di organo ufficiale di una determinata forza politica. In più, gioca un ruolo anche la velocità di aggiornamento (soprattutto della home page), che conferisce al sito uno slancio da autentico vettore di news.
Il Secolo d’Italia e le sfide del futuro
Interessante è anche il secondo aspetto, che tuttavia impone qualche riflessione di scenario. Questa in particolare: al momento la coesistenza di testate online accanto a quelle cartacee dà torto agli apocalittici sostenitori della scomparsa dell’informazione tradizionale. Ma allungando lo sguardo si capisce che in questa stessa direzione il futuro pone più di una sfida. A partire dalla necessità di impedire che i due mercati procedano come linee parallele destinate a non incontrarsi mai. Dovesse accadere, informazione online e cartacea potrebbero a tal punto distanziarsi da rendersi l’una incomprensibile all’altra. È una deriva da lunga distanza, ma i cui prodromi sono apprezzabili già oggi.
Il rischio incomunicabilità tra “cartaceo” e online
Se il cartaceo diventa la sede esclusiva nell’analisi dotta o dell’approfondimento mentre il web si contenta di sventagliare news, sbracando di fronte al sensazionalismo ad ogni costo quando non addirittura al turpiloquio, è più che probabile che i due linguaggi finiscano per non riconoscersi. Sul cartaceo troveremmo infatti contenuti ad uso delle élite, mentre sul web dilagherebbero quelli di facile consumo e a portata di clic. Sarebbe come tornare ai tempi del latino appannaggio delle classi colte, cui si contrapponeva il volgare dei ceti più popolari. Una sorta di nemesi per la Rete, nata sotto il segno della orizzontalità dei rapporti e dell’azzeramento delle distanze sociali. Anche per questo, la sfida dell’informazione è tenere questi due mondi – il cartaceo e il web – quanto più ravvicinati possibile. I dati del Secolo d’Italia ci assicurano che siamo pronti a fare la nostra parte.