Beppe Alfano, così 29 anni fa la mafia uccise lo scomodo giornalista del Msi. La figlia: abbandonato dallo Stato

8 Gen 2022 18:57 - di Paolo Lami

Era un giornalista coraggiosamente e tenacemente scomodo Beppe Alfano perché non accettò mai di piegare la testa, di modificare il suo modo di essere, di vivere, di combattere in nome della verità. Non si piegò agli avvertimenti, alle lusinghe, alle offerte per farlo tacere. Non smise di essere sé stesso, quel giornalista limpido, quel politico incorruttibile – era iscritto al Msi e veniva da Ordine Nuovo – quel docente appassionato che travasava, nell’insegnamento, il suo stile di vita cristallino. E Cosa Nostra trovò molto facile ucciderlo la notte dell’8 gennaio di 29 anni fa mentre era solo in macchina vicino alla sua abitazione.

I killer gli spararono in bocca, tre colpi. Aveva 47 anni. Oggi ne avrebbe 76 anni.

Ricorda così quel giorno terribile la figlia Sonia, parlando con “Ossigeno per l’informazione”: “Dopo il suo omicidio scesi in strada. Fu il nostro cane a portarmi dove c’era il sangue di mio padre. Ebbi la necessità di sentire il suo odore. A distanza di anni è quell’odore che mi spinge a continuare a lottare per ottenere giustizia per la sua uccisione”.

Una giustizia che, per quanto incredibile possa sembrare, a distanza di quasi trent’anni, lo Stato non è riuscito ancora ad assicurare.

Il libro che Sonia Alfano ha scritto nel 2011 e che Rizzoli ha editato, ha un titolo che continua, ancora oggi, ad essere vergognosamente attuale “La zona d’ombra. La lezione di mio padre ucciso dalla mafia e abbandonato dallo Stato”.

Beppe Alfano, che collaborava con due emittenti locali e che, da giornalista contestava l’Ordine professionale al quale non aveva voluto  iscriversi (ma, poi, una volta morto, gli venne riconosciuta l’iscrizione ) aveva messo sotto la lente di ingrandimento gli appalti del messinese e le frodi sugli agrumi e sui finanziamenti per l’agricoltura. Ma non solo.

Poco prima di essere ucciso stava indagando sull’Associazione Italiana Assistenza Spastici. Venne avvicinato e gli furono promessi molti soldi se avesse lasciato perdere quell’inchiesta giornalistica che stava irritando i boss locali. Rifiutò. E venne ammazzato.

Beppe Alfano era un giornalista tenace e scomodo, un uomo coraggioso alla continua ricerca della verità. – dice il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci, nell’anniversario della uccisione. – Ecco perché fa male ancora di più constatare, a ormai 29 anni dal suo omicidio, che di quella esecuzione in piena regola conosciamo i bracci armati ma non i mandanti“.

“Il modo migliore per alimentare la memoria di Beppe Alfano – aggiunge – è non rassegnarsi, ma rinnovare l’impegno quotidiano nella ricerca della verità e nella convinta lotta contro ogni tipo di malaffare“.

“Con i suoi articoli – ricorda il sindacato unitario dei giornalisti sicilianiBeppe Alfano rivelò la presenza della criminalità organizzata in quella parte di Sicilia, la cosiddetta mafia dei Nebrodi. Le sue inchieste fecero emergere storie di appalti irregolari, un traffico di stupefacenti e di armi, intrecci tra cosche, amministrazioni locali e massoneria“.

Per l’assassinio di Beppe Alfano nel 2006 sono stati condannati Nino Merlino quale esecutore materiale e il boss Giuseppe Gullotti come mandante.

Ma, nel 2019, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha acconsentito alla revisione del processo, su istanza dei legali di Gullotti.

Dice Sonia Alfano parlando con ‘Ossigeno per l’informazione’: “Sebbene sia prevista dal nostro ordinamento giuridico, questa revisione è uno scandalo perché è stata disposta esclusivamente su richiesta del mandante dell’omicidio di mio padre, senza che il giudice vagliasse, come da procedura, l’esistenza e la validità di eventuali nuove prove”.

“Il processo va avanti nel totale silenzio delle istituzioni – accusa la figlia di Beppe Alfano. – Adesso siamo in prossimità della sentenza, che potrebbe arrivare prima della conclusione del procedimento per corruzione contro il magistrato Olindo Canali, accusato di essere stato pagato dal boss Gullotti per fargli ottenere la revisione del processo“.

Tuttora in corso, a 29 anni dal delitto, anche le indagini, riaperte a dicembre 2020, sull’arma utilizzata per uccidere Beppe Alfano.

“Il ricordo che ho di Beppe Alfano è quello che conserva una ventenne incantata dall’imponenza culturale e spirituale di questo grande uomo. – ricorda la parlamentare di Fratelli d’Italia, Ella Bucalo componente della Commissione Lavoro pubblico e privato e responsabile nazionale scuola di FdI. – Beppe l’ho conosciuto come docente e come amico. Eppure già da allora fui rapita dalla sua enorme conoscenza del mondo e dalla sua ferma rettitudine. Un uomo coraggioso, legato profondamente ai valori dell’onestà. Un colosso del nostro tempo la cui memoria va senza dubbio onorata attraverso la lotta ad ogni forma di malaffare. Quel malaffare che lui stesso, con le sue inchieste voleva scardinare. Beppe Alfano ha pagato con la vita la sua lotta alla mafia. Il modo migliore per ricordarlo – conclude Ella Bucalo – è portare avanti la sua battaglia”.

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