Il Cavaliere al Quirinale terrorizza Travaglio. Petizione del Fatto per dire “no” all’odiato “B.”

1 Dic 2021 10:04 - di Valerio Falerni
Travaglio

L’unica certezza che se ne ricava è che il “pericolo” – l’elezione di Silvio Berlusconi al Quirinale – non dev’essere così remoto come si vorrebbe far credere. Diversamente, la sentinella Marco Travaglio non avrebbe lanciato l’allarme sotto forma di petizione tra i suoi lettori (sai che novità) per dire “No” al Cavaliere Presidente. E non è tutto. Il direttore ha pure sprecato due pagine del Fatto Quotidiano per rimestare la solita litania contro l’odiato “B.”, additato per l’occasione come il “Garante della prostituzione” (ogni riferimento al Bunga Bunga, a Ruby Rubacuori nipote di Moubarak e alle famose «cene eleganti» è puramente voluto). Ma tant’è: saltata la carta Draghi, costretto dalla recrudescenza del morbo restare a Palazzo Chigi, e stante l’indisponibilità al bis di Mattarella, l’ipotesi Berlusconi al Colle prende corpo.

Da Travaglio la solita litania contro Berlusconi

E ha talmente terrorizzato Travaglio da costringerlo a rinculare verso il passato, riconducendolo nei tempi eroici del duetto televisivo con Michele Santoro quando una settimana sì e l’altra pure si esibivano nel tiro al bersaglio contro il Cavaliere. Un “triello” (duello a tre, copyright di Flavio Insinna) vinto in trasferta proprio da quest’ultimo con l’icastica spolverata della sedia dove prima era seduto Travaglio, di fronte a un Santoro urlante. Tutti e tre troppo esperti di comunicazione per non riconoscere (e apprezzare) la potenza di quell’immagine. Infatti funzionò anche presso gli elettori, i sondaggi s’impennarono e i due giornalisti fecero la fine dei pifferai di montagna andati per suonare e finiti suonati.

“B.” core business del Direttore

Per Travaglio il tempo si è fermato allora, tranne che per gli aggiornamenti della biografia di Berlusconi, suo vero core business. Vero che negli anni ha provato a rimpiazzarlo con l’Innominato (leggi Matteo Renzi) ma – vuoi mettere? – tra i due non c’è partita. La vita del Cavaliere è un feuilleton inesauribile, per altro squadernata da un numero esorbitante di inchieste giudiziarie di cui una sola conclusa da una sentenza di condanna definitiva gravata da molte ombre. E non per mafia, sebbene sia proprio lì che Travaglio voglia inchiodarlo. Il resto somma prescrizioni e assoluzioni. Leggi ad personam? Forse, ma spesso per difendersi da inchieste ad personam o ad aziendam. È stato l’uomo più indagato d’Italia e – quel che più dovrebbe inquietare – solo dopo la sua discesa in campo. Lecito perciò chiedersi se gli sarebbe toccato analogo destino se avesse deciso di schierare le sue tv in direzione del vento propizio.

Il Cav resuscita e Travaglio si mangia il cappello

Invece decise di sfidarlo fondando un movimento e allestendo una coalizione che lo porta al centro della tavola apparecchiata per tempo dal circo mediatico-giudiziario in favore della formidabile macchina da guerra di occhettiana memoria. Agli occhi di Travaglio, come di tanti altri del premiato circo di cui sopra, è questo il peccato originale di “B.” E non c’è battesimo o acqua santa che possa mondarlo. Apposta hanno sparato fuochi d’artificio quando lo hanno visto rotolare nella polvere dell’affidamento ai servizi sociali in un centro per anziani di Cesano Boscone. Erano convinti che mai se lo risarebbero trovati davanti alle… palpebre. Invece eccolo lì, chino sul pallottoliere, a contare i suoi Grandi elettori come le sue pecore un pastore. Nel frattempo, lontano da lui, in un angolo di redazione, un disperato e livoroso Travaglio si mangia il cappello. Come prima, già di prima.

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