Brigate rosse, l’ultima verità: quando morì Mara Cagol un mister X sfuggì per sempre alla cattura

13 Dic 2021 19:47 - di Carlo Marini
Brigate rosse

Cosa accadde esattamente il 5 giugno 1975, quando il re degli spumanti Vittorio Vallarino Gancia venne sequestrato a scopo di estorsione dalle Brigate Rosse tra Canelli ed Acqui, nell’alessandrino, e liberato il giorno successivo, dopo una conflitto a fuoco con i carabinieri, alla cascina Spiotta di Melazzo? Una vicenda drammatica sulla quale hanno indagato i giornalisti Berardo Lupacchini e Simona Folegnani che hanno dato alle stampe il libro inchiesta ‘Brigate Rosse: l’invisibile’  edito da Falsopiano, da poco in libreria e online.

A ispirare il volume, Bruno D’Alfonso, figlio di una delle due vittime di quella sparatoria, l’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso, 45 anni originario  di Penne, in provincia di Pescara, padre di tre bambini, che da un mese prestava servizio alla Compagnia di Acqui Terme.

Durante il conflitto  morì anche Margherita Cagol, la brigatista fra i componenti del nucleo storico dell’organizzazione terroristica, moglie di Renato Curcio.  Oggi Bruno D’Alfonso è un carabiniere in pensione che vive in Abruzzo. All’epoca dei fatti aveva poco più di 10 anni, un bambino, dunque, pure lontano dai luoghi in cui si consumò la tragedia, tragedia, di cui, però, serba un ricordo sempre vivo che in questi anni lo ha portato a continuare le ricerche per accertare cosa accadde. Anni di lavoro su documenti, fatti e personaggi da cui sono  emersi nuovi elementi che lo hanno portato a presentare in procura a metà novembre a Torino un esposto a seguito del quale sono state riaperte le indagini.

“Nonostante siano passati tanti anni, ricordo benissimo le fasi di quella vicenda anche se non vivendo in Piemonte abbiamo vissuto ciò che è accaduto e il dibattito che ne è seguito  soprattutto tramite i giornali – racconta  Bruno D’Alfonso all’Adnkronos – in quella sparatoria era morto mio padre e la moglie di Renato Curcio ma c’era un brigatista che era fuggito sul quale non si è mai più indagato. Nel corso degli anni ho fatto ricerche e approfondimenti ma non non c’è mai stata una versione univoca, ne’  è mai stato fatto il nome del fuggitivo, un ‘mister X’  che oggi, dopo tanti anni , io spero possa raccontare come sono andate le cose”.

“Da parte mia, mi sono anche recato  sul posto, ho acquisito incartamenti sulla vicenda e ho cominciato a farmi un’idea”, prosegue Bruno D’Alfonso che dopo aver incontrato per caso, alcuni anni fa, leggendo un articolo sul padre, i due giornalisti autori del libro, ha deciso di raccogliere con loro nel volume  di cui ha curato la prefazione, tutti gli elementi in suo possesso e poi di presentare  l’esposto in procura. “Un atto frutto dell’esame di moltissimi documenti processuali di allora e di altre indagini sviluppatesi in seguito sulle Br come pure delle dichiarazioni rese da protagonisti del terrorismo e delle forze dell’ordine che allora indagarono. Vi sono, a mio avviso, molti elementi nuovi che, spero, possano portare alla piena ricostruzione dei fatti. Alcune persone sanno e possono aiutare la verità è io spero che il materiale investigativo possa aprire  la strada a nuovi sviluppi investigativi ne è convinto anche Sergio Favretto, avvocato che segue D’Alfonso.

Brigate rosse: chi era l’ignoto terrorista mai catturato

“In questa vicenda – spiega il legale in una nota – destano meraviglia come siano stati distrutti i reperti sequestrati, le armi utilizzate pur restando ignoto il brigatista (X) poi fuggito. Non vi sono neppure tracce evidenti delle verifiche scientifiche che certamente furono compiute sul luogo, così come sugli oggetti e sui locali. Nel libro, in particolare, si descrive l’esistenza di un infiltrato nelle Brigate Rosse mai rivelato prima. Sono fiducioso nell’operato della magistratura”.

Per gli autori del libro, Berardo Lupacchini e Simona Folegnani, dopo alcuni anni di lavoro su documenti, fatti e personaggi sono emersi nuovi elementi capaci di illuminare un episodio assolutamente non secondario nella storia degli anni di piombo. “Si tratta di un’inchiesta che ci ha visti impegnati quasi quattro anni – sottolineano –  abbiamo  ricostruito la dinamica della sparatoria e dato un nome al brigatista sfuggito alla cattura”.

(Nella foto il maresciallo D’Alfonso e Mara Cagol)

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *