Di Maio svela perché c’hanno rifilato Giuseppi: era abbronzato, la camicia sbottonata…

25 Ott 2021 11:15 - di Roberto Frulli
Conte Di Maio

“Al suo arrivo in hotel indossava una camicia, il primo bottone sbottonato, la sua abbronzatura era forte, decisa, molto estiva e gli conferiva un’aria spensierata”: il candido Luigino Di Maio spiega così, nella sua prima faticaccia letteraria, l’autobiografia ‘Un amore chiamato politica‘, facendo un pericoloso slalom fra i congiuntivi che non sono stati mai il suo forte, il motivo per cui i Cinquestelle hanno rifilato, per ben due volte, il leguleio di Volturara Appula, Giuseppi Conte agli italiani.

Uno si imaginava chissà quali ragionamenti complicati, quali strategie politiche, quale trust di cervelli all’opera per tirare fuori dal mazzo la carta pregiata. E, invece, è bastato un bottone della camicia sapientemente sbottonato sopra ai pettorali abbronzati dai raggi birichini del Circeo, per far cadere in ginocchio Gigino Di Maio di fronte al fustacchione Conte, per farlo andare in sollucchero. E decidere, in quel momento, che gli italiani si meritavano proprio Giuseppi. Insomma, come si dice, a volte la sfiga si manifesta attraverso i dettagli.

Nel libro ‘Un amore chiamato politica‘, domani in libreria per Piemme e anticipato dal Fatto Quotidiano, il ministro degli Esteri Luigi di Maio racconta il retroscena della decisione di indicare Giuseppe Conte come presidente del Consiglio, del governo giallo-verde. Da lì in poi le disgrazie per gli italiani si sono succedute come un grappolo di ciliegie sode.

Siamo a metà maggio del 2018. Bisogna tirare fuori l’idea vincente per la figura del presidente del Consiglio.

Io, Spadafora, Salvini e Giorgetti eravamo a colloquio con il professor Sapelli. Devo ammettere che mi sorprese – rivela Di Maio. – Ebbe parole lusinghiere per le istituzioni dello Stato. Ci raccontò la sua esperienza all’Eni, approfondì alcuni passaggi sui nostri interessi geostrategici. Condivideva anche alcuni punti del nostro programma economico, in particolare era d’accordo su una ripresa delle partecipazioni statali”.

”Era una persona preparata e si capiva che sapeva farsi valere – sostiene’attuale ministro degli Esteri. – L’ago della bilancia si stava fortemente spostando verso di lui, anche se dovevamo ancora parlare con Conte. Il problema si pose poco dopo”.

“I leghisti – aggiunge Di Maio – sono infatti famosi per non sapersi tenere nulla, hanno la smania di lasciare filtrare qualsiasi indiscrezione, ne fanno in pratica una linea strategica. Così qualcuno spifferò di quell’incontro e Sapelli, finito il colloquio, la mattina dopo fu intercettato da Radio Cusano Campus, che lo intervistò.”.

E qui, secondo Di Maio, si decisero i destini dell’Italia e degli italiani. “Alle domande” di Radio Cusano CampusSapelli “rispose con un certo piglio, svelò alcuni retroscena in un momento in cui si chiedeva riservatezza. Confermò di essere stato chiamato per fare il presidente del Consiglio. Mai passo fu più falso. Si bruciò con le sue stesse mani”.

“A quel punto – prosegue Di Maio – quello di Giuseppe Conte sarebbe stato un gol a porta vuota. Tuttavia, lui non sottovalutò la situazione”.

Ed ecco come si sciolse il nodo gordiano assieme a Gigino Di Maio che andò in brodo di giuggiole davanti all’apparizione di Giuseppi.

“Al suo arrivo in hotel indossava una camicia, il primo bottone sbottonato, la sua abbronzatura era forte, decisa, molto estiva e gli conferiva un’aria spensierata – scrive Di Maio quasi commosso da quella visione maschia e virile. – Veniva dal Circeo, o da Gaeta, non lo ricordo con esattezza. Impeccabile nei modi, si pose nei confronti di ciascuno di noi con umiltà, mostrando un grande spirito collaborativo. Fece breccia anche in Salvini che, al termine del colloquio, si disse convinto”.

Da lì in poi è cronaca recente. Perlomeno ora gli italiani sanno come sono stati fottuti.

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