Covid, il picco di casi in Gran Bretagna preoccupa. Gli esperti: Londra lo dimostra, solo il vaccino non basta

18 Ott 2021 14:11 - di Prisca Righetti
Covid

Covid, i casi in aumento in Gran Bretagna preoccupano anche noi. Gli esperti in Italia concordano: Londra dimostra che il solo vaccino non basta. Bisogna continuare con mascherine e igiene. In effetti, i contagi da coronavirus continuano a crescere – e a preoccupare – nel Regno Unito (ma non solo). Dove ogni giorno si registra un nuovo numero record di casi giornalieri. Arrivati a sfiorare i 45.140 casi quotidiani. In questo modo, in tutto nell’ultima settimana si sono avuti oltre 300.000 nuovi contagi, con un aumento del 15,1% rispetto a quella precedente. Per quanto riguarda il totale dei decessi, invece, i dati riferiscono che in una settimana si arriva 852 vittime. Dunque, anche qui, con un netto aumento: dell’8,5%, rispetto alla settimana precedente. Con la voce dei ricoveri che sale oltre le nove centinaia accettazioni giornaliere.

Covid, la recrudescenza di casi in Gran Bretagna preoccupa anche noi

E noi, allora, quanto, come e perché dovremmo preoccuparci del precedente britannico. Lo spiega all’Adnkronos Salute Stefania Salmaso, epidemiologa dell’Associazione italiana di epidemiologia (Aie), commentando il nuovo picco di contagi nel Regno Unito. Dove anche le strutture ospedaliere sono tornate sotto pressione. «L’Inghilterra aveva vaccinato per prima contro il Covid-19. Molto bene, con grande sforzo. E si è affidata quasi esclusivamente alla vaccinazione per contrastare la circolazione virale, interrompendo le misure di protezione individuale (come mascherine, distanziamento, igiene) in modo abbastanza precoce. Basandosi sul fatto che circa il 70% della popolazione era vaccinato».

Covid, Salmaso (Aie): il solo vaccino non basta: servono ancora mascherine e distanziamento

«Mi sembra però che – prosegue l’esperta – visto l’aumento dei contagi oltremanica, questa sia la dimostrazione che non basta solo il vaccino, ma serve mantenere le cautele anche individuali. Servono ancora le misure di controllo, di distanziamento sociale e la riduzione delle possibilità di esposizione». «Gli inglesi – spiega la Salmaso – hanno una capacità diagnostica più elevata della nostra. E quindi sono in grado di identificare più infezioni in confronto alle nostre. È anche vero, però, che a fronte del numero elevato di contagi rilevati, hanno avuto anche un incremento dei ricoveri in ospedale e dei decessi. Quindi non c’è solo una migliore sensibilità del sistema, ma effettivamente c’è una recrudescenza», rileva la Salmaso che fa una riflessione di prospettiva rispetto alla fine dell’emergenza nel nostro Paese. Prevista a fine anno e alle aspettative legate a questo appuntamento.

«In questa fase non possiamo abbandonare le protezioni individuali: ecco perché»

«In questa fase non possiamo abbandonare le protezioni individuali – avverte l’epidemiologa –. Ovviamente la prospettiva è che all’aumentare dei vaccinati, con soglie molto, ma molto elevate di immunizzati. E  con un occhio ai dati della circolazione virale, potremmo pensare di rilassare alcune misure in maniera molto cauta». E se la Salmaso invita a non abbassare la guardia anche a fronte dei dati positivi sull’andamento pandemico in Italia delle ultime settimane. Con un calo della pressione sugli ospedali e le terapie intensive. Come dice la stessa esperta: «Il rischio varianti c’è sempre. Non proviene da noi, ma da quella parte del mondo, una gran parte, dove non si vaccina. Anche la variante Delta è emersa in aree dove non c’era vaccinazione. Sappiamo che tutte le popolazioni dove non ci sono misure di controllo efficaci contro Sars-CoV-2 sono dei grandi laboratori a cielo aperto. Dove possono emergere nuove forme virali»…

Andreoni (Tor Vergata), Londra lo dimostra: le misure di contenimento servono ancora

Parole a cui fanno eco quelle di Massimo Andreoni, primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit). Il quale facendo un punto (e un raffronto) su Gb e il nostro Paese, asserisce: «L’Italia ha avuto un atteggiamento rigoroso rispetto alla pandemia mentre il Regno Unito ha fatto. Che sta facendo esattamente il contrario, facendo circolare il virus. E oggi si vedono le conseguenze. Hanno tolto ogni tipo di misura di sicurezza. E hanno iniziato tardi a fare la seconda dose. Noi invece abbiamo proceduto più guardinghi e con attenzione. Ora, guardando il picco di casi registrato nel Regno Unito, un pensiero di preoccupazione c’è. È il segnale che se si molla, il virus è pronto a ripartire e, se arriva una variante brutta, anche noi siamo a rischio. Quindi le misure di contenimento, dall’uso della mascherina al chiuso al distanziamento, servono ancora. Ma visti i numeri del Regno Unito, forse servirebbe che l’Europa si facesse sentire, magari anche rimettendo la quarantena di una settimana per chi arriva in Italia da oltremanica».

Covid, Crisanti: «Sì alla terza dose, altrimenti calerà l’immunità come in Gran Bretagna»

«Arrivare al 90% dei vaccinati garantirebbe un equilibrio che con la terza dose potrebbe diventare buono. Altrimenti c’è il rischio inglese». Poi prosegue: «Così come in Gran Bretagna, l’immunità calerà anche in Italia. Ed è dunque necessaria per tutti la terza dose di vaccino. Studi solidi dimostrano che dopo sei mesi la protezione contro l’infezione cala dal 95 al 40%. E contro la malattia grave dal 90 al 65. Il richiamo è il completamento della protezione. Non sappiamo quanto duri, ma in altre vaccinazioni vale per anni. Certo pone ulteriori problemi sociali interni ed etici rispetto al terzo mondo. Anche se dubito che questi vaccini siano utilizzabili nei Paesi svantaggiati. Il picco della campagna vaccinale è stato tra aprile e luglio. Dunque da novembre a febbraio potremmo avere problemi. Per questo serve la terza dose».

 

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