Da Confindustria la sconcertante proposta anti-Covid: senza vaccino addio a lavoro e stipendio

20 Lug 2021 16:13 - di Lorenza Mariani
Confindustria su vaccino

La linea anti-Covid di Confindustria si traduce in una proposta che suscita sconcerto e preoccupazione: senza vaccino, se va bene si rischia un cambio di mansione. Se va male, addirittura il posto di lavoro e lo stipendio. Avete capito bene: niente vaccino, niente stipendio. È la durissima equazione stilata da Confindustria per garantire la sicurezza sanitaria e limitare i contagi in azienda. Una richiesta che verte proprio sulla relazione algebrica tra immunizzazione e lavoro. Una mozione, quella individuata dagli industriali, che punta a rendere solida e costante la produzione economica. Ma che potrebbe minare pesantemente il diritto e la sicurezza occupazionale. Una linea, sostiene l’organizzazione, motivata dalla considerazione in base alla quale: «Gli strumenti di contenimento della pandemia più evoluti – in primis la vaccinazione – risulteranno fondamentali per evitare la reintroduzione di misure restrittive delle libertà personali. E per lo svolgimento delle attività economiche».

Confindustria, la sconcertante proposta per sollecitare il vaccino

E così, quello che magari nelle intenzioni vuole essere un appello alla responsabilità vaccinale, diventa in realtà un dispositivo a orologeria che rischia di far deflagrare pesanti conseguenze. Oltre che giustificato da una serie sempre più stringente di disposizioni stringenti.  A rivelare la proposta enucleata da Confindustria e indirizzato a Draghi è stato Il Tempo, che ha riportato una lettera firmata da Francesca Mariotti, d.g. dell’associazione degli industriali. Una notizia rilanciata come un allarme, che ha sconcertato i più. E che, di fatto, punta a stabilire il principio dell’ingresso consentito in azienda esclusivamente a chi può dimostrare, attraverso il green pass, di essersi sottoposto alla doppia vaccinazione anti-Covid.

Confindustria: senza vaccino addio a lavoro e stipendio

Mentre, per chi scegliesse di non sottoporsi ai criteri dell’immunizzazione, il datore di lavoro potrebbe ricorrere a due soluzioni possibili: o trovare un’altra mansione. Oppure, laddove non fosse attuabile questa prima ipotesi, lasciare il dipendente a casa senza stipendio. Un provvedimento che sta facendo discutere, spiegato da Confindustria con il fatto che: «Nonostante la campagna vaccinale abbia registrato finora un buon andamento, numerose imprese associate hanno segnalato la presenza di percentuali consistenti di lavoratori che scelgono liberamente di non sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid 19. Esponendo di fatto a un maggior rischio di contrarre il virus se stessi. E la pluralità di soggetti con cui, direttamente o indirettamente entrano, in contatto. Condividendo in maniera continuativa gli ambienti di lavoro» …

Il fine: «Consentire ai datori di lavoro di richiedere l’esibizione di una certificazione valida all’ingresso al lavoro»

E per cui, prosegue l’organizzazione rappresentativa delle imprese, «al fine di tutelare tutti i lavoratori. E lo svolgimento dei processi produttivi. Nel pieno rispetto delle libertà individuali, Confindustria ha proposto l’estensione dell’utilizzo delle certificazioni verdi (green pass) per accedere ai contesti aziendali/lavoristici. Avviando interlocuzioni con il Governo ai fini di una soluzione normativa in tal senso»… Un appello alla responsabilità individuale declinato a una serie di provvedimenti via via sempre più ostativi. E che Confindustria illustra e giustifica sostenendo che «l’intento è quello di consentire ai datori di lavoro di richiedere l’esibizione di una certificazione verde valida ai fini di regolare l’ingresso nei luoghi di lavoro. E/o lo svolgimento delle mansioni lavorative dei vari soggetti»

Le possibili conseguenze in caso non si disponesse del green pass

Sottolineando che «la posizione assunta da Confindustria è che l’esibizione di un certificato verde valido dovrebbe rientrare tra gli obblighi di diligenza. Correttezza. E buona fede, su cui poggia il rapporto di lavoro». Ma che, di fatto, si traduce nella possibilità del datore di lavoro di «attribuire al lavoratore mansioni diverse da quelle normalmente esercitate, erogando la relativa retribuzione». E anche di «non ammettere il soggetto al lavoro: con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dall’azienda», qualora mancassero i requisiti richiesti. Una linea coercitiva e punitiva che arriva come un pugno sferrato sotto la cintura al fianco di lavoratori già duramente penalizzati da crisi sanitaria ed economica.

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