Mottarone, in arrivo nuovi avvisi di garanzia, rischia l’operaio che ha tolto la sicura dai forchettoni

31 Mag 2021 14:05 - di Paolo Lami
MOTTARONE_FUNIVIA

Se tutti gli operai sentiti come testimoni per il disastro della funivia del Mottarone concordano nel dire di aver avuto l’ordine di lasciare il forchettone inserito dal capo servizio Gabriele Tadini, ora ai domiciliari e indagato per omicidio colposo plurimo e altri reati, la posizione più complicata è di quel dipendente che domenica 23 maggio, giorno dell’incidente in cui hanno perso la vita 14 persone, ha materialmente tolto il ceppo, ossia con il suo gesto ha escluso il sistema di emergenza dei freni che, se in funzione, avrebbe impedito alla cabina numero 3 di precipitare.

In queste ore gli investigatori di Verbania sono al lavoro per ricostruire i contatti scritti – mail e messaggi – fra i tre indagati per omicidio colposo per il disastro della funivia del Mottarone.

Nei telefoni subito sequestrati al gestore dell’impianto Luigi Nerini, al capo servizio Gabriele Tadini e al direttore di esercizio, l’ingegner Enrico Perocchio, i carabinieri sperano di trovare degli scritti con cui dimostrare che tutti fossero a conoscenza del problema al sistema frenante dell’impianto e dello stratagemma del blocco di freni (per evitare che la funivia si bloccasse), come sostenuto da Tadini attualmente ai domiciliari.

I tabulati sono stati acquisiti e verranno analizzati con attenzione anche per capire quante telefonate ci sono state dal momento della tragedia e nei giorni successivi, prima che per i tre si aprissero per 96 ore le porte del carcere di Verbania.

Le memorie dei cellulari, così come quelle dei computer potrebbero dare una grossa mano ai carabinieri che stanno cercando di ricostruire le responsabilità della tragedia del Mottarone.

Se Tadini ammette che sicuramente in due occasioni, il 22 e il 23 maggio scorso, ha falsato i registri per nascondere i problemi al sistema frenante, dai messaggi telefonici potrebbe emergere che Tadini, le cui dichiarazioni non sono ritenute sufficienti dal gip, dica il vero quando afferma che “tutti sapevano” e che in più occasioni ha informato Nerini e Perocchio dei guasti all’impianto e che proprio loro lo avrebbero in qualche modo ‘indirizzato’ a mentire.

Gli accertamenti che verranno disposti dalla Procura di Verbania che indaga sulla tragedia del Mottarone sono “finalizzati a capire perché la fune si è rotta, se il sistema frenante aveva dei difetti. La risposta ci farà luce su responsabilità concrete”, ha spiegato il procuratore capo di Verbania Olimpia Bossi che indaga sulla strage del Mottarone.

“Non sono in grado di dire perché si è verificato quello”, cioè la rottura del cavo trainante, “la successione degli eventi è prima si spezza la fune – per cause ignote allo stato – e poi essendo stato disattivato il sistema frenante la cabina precipita. Le mie ipotesi sarebbero destituite di ogni competenza tecnica” per cui bisognerà attendere gli accertamenti degli esperti, aggiunge il procuratore capo di Verbania.

Quanto alla eventualità di nuovi avvisi di garanzia, “devo ancora chiarire con il consulente o i consulenti tecnici quali saranno le modalità di esecuzione degli accertamenti e solo dopo farò gli avvisi perché alcuni accertamenti li farò direttamente sul luogo del disastro, ma la maggior parte dopo che sarà rimossa la cabina, operazione non facilissima né rapidissima”, precisa la dottoressa Bossi.

“Non ho mai detto che a breve ci sarebbero stati nuovi indagati. Ho preso atto delle dichiarazioni rese dai testimoni, ho preso atto delle affermazioni del gip nell’ordinanza e voglio dire che i dipendenti sono stati ascoltati contemporaneamente dai carabinieri di Stresa pertanto non avevamo elementi per sentirli come indagati“, sottolinea il magistrato capo di Verbania.

Quando il capo servizio Gabriele Tadini confessa di aver manomesso il sistema frenante di sicurezza, l’audizione viene sospesa e lui indagato. Dunque la possibilità di nuovi indagati” commenta il procuratore capo, esiste in tutte le attività di indagine, non ho detto che è una certezza”.

In tutto questo, però, il procuratore non si sente sconfitto dopo la decisione del gip che ha concesso i domiciliari a Tadini e ha rimesso in libertà il gestore dell’impianto Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio.

“L’impianto accusatorio inteso come qualificazione giuridica del fatti non solo resta invariata ma è avallata dal giudice, mi riferisco in particolare all’ipotesi dolosa di rimozione dei dispositivi di sicurezza che è stata riconosciuta. E da lì che ripartiamo. Se per il giudice non c’erano indici sufficienti in quel momento, i tre restano indagati e la nostra attività di ricerca delle prove va avanti“, concludeil magistrato che guida la Procura di Verbania investita della vicenda del Mottarone.

In un’intervista a La Stampa, l’ingegner Enrico Perocchio, direttore tecnico della funivia del Mottarone e dipendente della Leitner, indagato assieme a Nerini e Tadini, si è lasciato andare ad alcuni commenti sul disastro.

Ricorderò quella giornata di domenica per tutta la vita. Io sto male per niente, figuriamoci come sto adesso sapendo che sono morte quattordici persone. Questa è una tragedia immane. La terrò sempre nel cuore. È impossibile dimenticarla. E purtroppo io non posso fare nulla . dice Perocchio dopo aver lasciato il carcere di Verbania dove era detenuto. – Sono stati sei giorni pesantissimi -spiega-: questa accusa è devastante. Ora sono finalmente un po’ sollevato. Torno in famiglia”.

Ripercorrendo l’intera vicenda, l’ingegnere racconta il momento in cui ha appreso la notizia.
“Ero a casa e sono partito subito per il posto dell’incidente. Io pensavo ci fossero da organizzare soccorsi, nessuno mi aveva detto cosa era accaduto. Quando me lo hanno spiegato mi sono sentito morire.

“Non è possibile”, pensavo. Se avessi saputo che venivano adoperati i blocchi dei freni, i cosiddetti forchettoni, avrei fermato immediatamente l’impianto. Scoprire questo adesso è un enorme macigno sullo stomaco“.

Per ogni lavoro di riparazione o problema tecnico spettava a lui, l’ingegner Perocchi, decidere come e quando intervenire.
Tuttavia il tecnico assicura: “Non sapevo dei forchettoni. Se avessi saputo non avrei avallato quella scelta. Lavoro negli impianti a fune da ventuno anni e so che quelle sono cose da non fare mai, per nessuna ragione al mondo”.
Poi sottolinea: “Tutte le manutenzioni sono state fatte. Era tutto a posto. Ora vedremo le analisi sulla rottura della fune per capirne le ragioni”.

Sul suo rapporto con Nerini, afferma: “E’ un rapporto di lavoro abbastanza buono. Ritenevo onestamente che la gestione dell’impianto fosse più del capo servizio che sua“.
Ma “non so quanto entrasse dentro discussioni tecniche. Io con lui avevo dialoghi legati a questioni amministrative e di regolarità dell’impianto. Se c’era un problema chiedeva che Leitner glielo risolvesse e noi glielo abbiamo sempre risolto. Non ho mai ricevuto da Nerini pressioni perché si girasse in condizioni non regolari“.

Sul perché, allora, possa aver fatto quella scelta, dice: “Non sono nella sua testa, non posso saperlo. Se lo avessi saputo lo avrei bloccato prima“.
In ogni caso, la rottura della fune, avverte, è un evento “rarissimo”, ma “può capitare”.
Tanto che “è prevista la presenza di freni di emergenza“.
Ora quindi “si farà luce su come sia potuto accadere, ma so con certezza che da noi le manutenzioni su funi e testa fusa erano a posto“.

Certo è, assicura, che “se mi fosse caduto l’occhio sui forchettoni, colorati di rosso proprio per iniziativa mia, che li volevo ben visibili, li avrei fatti togliere immediatamente“.

Insomma, assicura Perocchi, “è stato un errore mettere i forchettoni per ovviare a un problema che si poteva o risolvere. Bastava chiudere l’esercizio uno o due giorni, basta bloccare la funivia e si risolveva il problema”. In fondo “questo è un periodo di bassa stagione“.

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