Migranti, Draghi elogia la Libia e la Boldrini s’infuria: «Ha ignorato le torture sui migranti»
Alla sinistra non piace che l’Italia torni ad avere un ruolo nella Libia che tenta di uscire dalla guerra civile. Non stupisce: è da tempo che ha rinunciato alla geopolitica in nome di un (peloso) solidarismo di maniera su scala globale. Se ne sarà accorto (almeno si spera) anche Mario Draghi che dalla sua missione a Tripoli ha ricevuto dal Pd più critiche che lodi. Motivo? Nei suoi colloqui con il neopremier Abdelhamid Dabaiba non ha neppure accennato alle violenze che che i libici compiono nei campi di detenzione dei migranti. Ha parlato piuttosto di «salvataggi» in mare di vite umane da parte della guardia costiera di Tripoli.
Il premier: «Grazie alla Libia per i salvataggi»
Del resto, era lì per rafforzare l’azione di un governo il cui obiettivo è la «riconciliazione nazionale». Da qui la necessità di sottolineare «l’antica e nuova vicinanza» tra Italia e Libia. Testimoniata, ha ricordato, anche dal fatto che la nostra ambasciata «è l’unica rimasta aperta durante tutti gli anni di conflitto». Parole che hanno presto incrociato il dissenso del partito di Enrico Letta. A cominciare da Laura Boldrini. «Grave – ha tuittato l’ex-presidente della Camera – che Draghi abbia ignorato le violenze e le torture, subite dai migranti nei campi di detenzione, denunciate dall’Onu». «Molto deluso» dalle dichiarazioni del premier si dichiara anche l’eurodeputato Pierfrancesco Majorino.
La sinistra: «Inaccettabile»
Ma è tutta la sinistra ad alzare la voce. «Draghi esprime soddisfazione per il lavoro della Libia sui salvataggi? Evidentemente gli sfugge la differenza tra salvataggio e cattura», ironizza per Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. Plaude invece alla missione di Draghi il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, di Forza Italia. «Ritornare sulle orme dell’Accordo di Amicizia siglato dal presidente Berlusconi nel 2008 imprime un cambio di passo nelle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. L’Italia – ha concluso – torna così a rivendicare una leadership troppo a lungo appannata da scelte tiepide e altalenanti».