Italiani spariti in Messico: condannati due poliziotti. Li hanno venduti ai Narcos per 40 euro

3 Apr 2021 11:58 - di Redattore 92
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Prima sentenza per il giallo de italiani scomparsi in Messico tre anni fa. Dopo un processo durato poco più di tre anni, due poliziotti di Tecalitlán sono stati condannati per la sparizione forzata di due cittadini italiani (Antonio Russo e Vincenzo Cimino) che nel gennaio 2018 si erano recati in quel comune nel sud di Jalisco per cercare un loro parente (Raffaele Russo) anche lui sparito nel nulla.

Italiani spariti in Messico: dei 6 indagati 2 sono morti e 2 spariti

Salomon Adrian Ramos Silva ed Emilio Martines Garcia rischiano fino a 60 anni di galera. La terza imputata, Linda Guadalupe Arroyo, si è data alla fuga venerdì durante una pausa del processo ed è considerata latitante. Un quarto poliziotto coinvolto nella sparizione degli italiani, è morto in carcere diversi mesi fa.

Venerdì 9 aprile, i giudici che hanno emesso la condanna, annunceranno l’entità della pena per gli agenti di polizia e forniranno le motivazioni della sentenza. In Messico, il minimo della pena per il reato di sparizione forzata è di 40 anni.

Raffaele Russo è scomparso il 31 gennaio 2018 a Tecalitlán, il giorno dopo uno dei suoi figli, Antonio Russo, e suo nipote, Vincenzo Cimmino, sono andati a cercarlo.

“Hanno venduto un generatore mal funzionante alla persona sbagliata”

Il 31 gennaio del 2018 a Tecalitlan, città dello stato di Jalisco, Raffaele e Antonio Russo, padre e figlio, e Vincenzo Cimmino, nipote e cugino dei primi due, si fermano a fare rifornimento. I tre sono lontani da casa, da Napoli, dove hanno lasciato famiglia e amici, e sono in Messico per vendere generatori elettrici. Quel giorno, a Daniele, fratello di Antonio e figlio di Raffaele, arriva un messaggio audio su Whatsapp: stavano facendo rifornimento quando due moto e un’auto della polizia li intercettano e gli dicono di seguirli. Da allora, dei tre napoletani si perdono le tracce. Oggi la prima condanna per una sparizione che ha lasciato tutti sgomenti.

Secondo una ricostruzione de La Stampa i tre italiani in Messico lavoravano in un giro di generatori elettrici, che venivano rivenduti a prezzi d’oro ai contadini della zona come marchi prestigiosi pur essendo made in China. Queste macchine erano acquistate in Cina. La merce giungeva in Messico. Qui veniva falsificata in modo ineccepibile, con fatture d’acquisto che li facevano risultare di marchi prestigiosi. Secondo le autorità messicane, i tre napoletani scomparsi potrebbero aver venduto alla persona “sbagliata” un generatore mal funzionante.

 

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