1° maggio 2021, c’è poco da festeggiare: gli appelli “epocali” di Draghi non bastano
Qual è lo stato dell’Italia al giro di boa, veramente cruciale, del 1° maggio 2021? Malgrado le “epocali” dichiarazioni di Mario Draghi, fatte nel corso delle relazioni alle Camere sul Recovery Plan, c’è poco da stare allegri. E proprio in ragione dello stato reale dell’Italia, della condizione dei suoi cittadini, dei numeri drammatici della crisi.
A differenza di quanto affermato dal Presidente del Consiglio, la viva sofferenza delle persone è sempre più collegata all’aridità delle cifre e delle tabelle, che ci consegnano un Paese in affanno, segnato dall’emergenza, socialmente spaccato a metà e quindi ancora di più in sofferenza, per il disagio che questa spaccatura viene ad accentuare.
Secondo recenti dati Istat il 35% dei nostri concittadini ha visto ridursi le proprie entrate e all’interno di questi uno su otto ha visto ridurre il proprio reddito dal 25% a più del 50%. Le proteste di piazza, i tafferugli, il disagio diffuso nascono da questa realtà. Di questa realtà è necessario parlare in occasione della “Festa del lavoro”.
Al di là della retorica sulla ricostruzione (sui miliardi di Euro da spendere) gli italiani hanno bisogno di risposte immediate e concrete, che non possono essere solo quelle dei grandi progetti, delle aspettative “millenaristiche”, secondo le quali “dopo” tutto sarà diverso, “tutto sarà cambiato”. Da anni ci battiamo per denunciare le crisi strutturali, “di sistema”, di un Paese sempre in ritardo nella realizzazione delle infrastrutture, nella ricerca, nell’efficienza amministrativa, nella Giustizia. Trincerarsi dietro le aspettative del Recovery Plan e dei miliardi in arrivo rischia però di portare a sottovalutare il disagio profondo del Paese, la spaccatura tra garantiti e non garantiti, tra aree geografiche, tra generazioni.
Possono dei generici richiami all’ economia “green”, allo sviluppo del digitale, ad una ripresa dell’occupazione (con particolare riguardo al lavoro femminile), al rilancio del Mezzogiorno, essere sufficienti a rispondere ad un’Italia in sofferenza, che, dopo un anno di pandemia, chiede risposte certe ed immediate ? Il dato reale è che l’orizzonte immediato di molti italiani è segnato da una serie di emergenze a cui a breve sarà necessario dare risposte, delineando un Paese dimezzato.
Ci sono le 35 milioni di cartelle esattoriali che dal prossimo primo maggio verranno notificate (dopo un anno di stop) a famiglie ed imprese da parte dell’Agenzia delle Entrate. C’è la disoccupazione a cui gli effetti del Recovery – se tutto andrà bene – basteranno, nel 2024, a recuperare le perdite dal 2019. Ci sono in scadenza i termini della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti. C’è l’esercito degli abusivi e dei lavoratori in nero : 1,9 milioni di addetti che rischiano il posto e finiranno per ingrossare le fila dell’economia sommersa.
In questo 1° maggio 2021 ad emergere è una realtà lavorativa complessa, fatta di lavoratori dipendenti e di lavoratori autonomi, che chiede di essere rappresentata e che attende risposte immediate alla crisi. Su questo versante l’inadeguatezza del confronto politico e sociale, denunciato sia dalle confederazioni sindacali che dalla Confindustria e reso evidente dai tempi ristretti del dibattito parlamentare sono un ulteriore fattore di criticità. Larghi settori produttivi non si sentono rappresentati e tutelati. Altri soffrono per l’assenza del dialogo sociale e per la lontananza tra interessi reali del Paese e scelte di governo.
Draghi ha fatto appello alla “nostra capacità di lavorare insieme quando l’emergenza ci chiama alla solidarietà, alla responsabilità”. Ma gli appelli non bastano per ricucire un tessuto sociale oggettivamente sfibrato. La “ricostruzione” ha bisogno di volontà e di strumenti autentici di integrazione sociale, di dialogo e di costante verifica delle domande del Paese reale. La Festa del lavoro anche a questo dovrebbe servire. Non tanto per “celebrare” una data-simbolo quanto soprattutto per ritrovare il senso dei fondamenti di una Repubblica, che costituzionalmente si vuole fondata sul lavoro, ma che, nei fatti, questo lavoro stenta a rappresentare e a tutelare nella sua complessità.