Mughini e il suo Nuovo dizionario sentimentale: “Dare a qualcuno del fascista è da imbecilli…”

14 Mar 2021 18:54 - di Michele Barchiesi
Mughini

È straordinario un libro la cui epigrafe iniziale è davvero unica: “A me stesso, per avere vissuto”. A scriverlo è Giampiero Mughini, con un testo fatto di frammenti, di spezzoni, di capitoli che sta al lettore collegare l’uno all’altro. Un racconto, un’autobiografia attraverso l’immaginario, scritto in forma di mosaico, ma tale che contemporaneamente ne compone e ricompone molti. L’intento dell’autore era quello di fare i conti con se stesso e chiarire l’itinerario umano e intellettuale percorso fino a qui.

Mughini e il Nuovo dizionario sentimentale

Leggendo questo Nuovo dizionario sentimentale (sottotitolo “Delusioni, sconfitte e passioni di una vita”, Edizioni Marsilio, pp. 282, euro 18,00), il lettore si immerge in una narrazione formidabile. In cui storia, cronaca, politica, letteratura e tutte le arti del mondo raggiungono un incantevole, perfetto equilibrio.

Mughini: non esiste più nessuno che mostri curiosità

Mughini confessa, alla fine del libro, che nemmeno morto andrebbe a uno di quegli appuntamenti pubblici che si rivelano “congreghe di ruffiani. Che si incontrano a darsi pacche sulle spalle in favore di camera fotografica e a promuoversi a vicenda. E a non dire – aggiunge – che se per caso qualcuno mi invita a cena e lì c’è gente che non conosco, per tutta la sera parlano solo di se stessi. Di quello che hanno mangiato il giorno prima, dove sono stati negli ultimi mesi, che cosa faranno nei loro rispettivi mestieri. Non esiste più nessuno che mostri curiosità per gli altri, voglia di ascoltarli, magari di imparare qualcosa…”.

Vicende private e vicende della storia

Ecco, Mughini invece attraverso se stesso racconta la sua grande curiosità, la sua libertà intellettuale, la sua estrema apertura agli altri. E così in una caleidoscopica sfilata di eventi e personaggi, della politica, dello spettacolo, della vita, le cui vicende si intrecciano non solo con ricordi privatissimi ma anche con fatti rimasti nella memoria collettiva.

La Russia e i soldati italiani

Entriamo in casa di Marco Pannella nei suoi ultimi giorni di vita, rileggiamo il lato politico di Clint Eastwood, ci addentriamo tra i non conformisti francesi degli anni Trenta, riascoltiamo la voce coraggiosa e libera di Leonardo Sciascia, ripercorriamo la cronaca dei momenti più duri e ambigui del conflitto tra Israele e Palestina, riscopriamo il genio di Sergio Tofano.

Leggiamo della Russia dell’inverno 1943 “dove di notte la temperatura arrivava a quaranta gradi sotto zero. E dove i soldati italiani arretrarono disperatamente di 700 chilometri pur di non cadere nella morsa delle truppe sovietiche” (nel capitolo “La guerra ‘fascista’ di Giulio Bedeschi e degli eroici fratelli D’Amico”), o dove Mughini mostra la sua normalità in faccia a tutti i conformisti dell’anticonformismo titolando un capitolo “Dedicato agli imbecilli che dicono di non amare il calcio”.

L’isolamento dopo il libro “Compagni addio”

Per non dire, su un altro piano, delle pagine, toccanti, in cui l’autore descrive il rapporto con sua madre “che non parlava più”, o di quelle sui suoi due cani Bibi e Clint… Non nasconde nulla, Mughini, di ciò che ha provato, dell’ostilità mostrata da tanti suoi ex “compagni di strada” e dell’isolamento cui fu costretto dopo il suo Compagni addio del 1987 e il collaborare col Giornale di Indro Montanelli.

Mughini: chi parla di fascisti e antifascisti è un perfetto imbecille

“Una mia amica – racconta – con cui ero andato un paio di volte al cinema mi disse: ‘Ma come fai a scrivere su un giornale fascista?’. Ecco perché – commenta – dell’essere un solitario, uno fuori dai cori, uno che come unica tessera della sua vita ha avuto quella che ti fa viaggiare sugli autobus, uno che quando avvia un ragionamento non sa come lo concluderà, uno che ovunque vada non si toglierà l’impermeabile perché ben presto andrà via, ne ho fatto una religione e questo fin da allora. Al punto da reputare dei perfetti imbecilli quelli che a tutt’oggi infiocchettano il loro dire con i termini ‘fascista’ e ‘antifascista’, termini che nel terzo millennio non significano nulla di nulla. Neppure sotto tortura – conclude – darei del ‘fascista’ a Matteo Salvini, uno con cui ho discusso civilmente le volte che me lo sono trovato di fronte in uno studio televisivo. Lui era altrettanto civile nei miei confronti, mi chiamava ‘dottor Mughini’…”.

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