Renzi sbeffeggia il Pd: ha incoronato Conte perché aveva i like, ed ecco come è finita…

14 Feb 2021 19:12 - di Riccardo Angelini

In una lunga lettera alla Stampa, Matteo Renzi si difende dall’accusa di essere un sabotatore. Non intende vedersi appiccicata addosso l’etichetta di “Demoliton man” che è ormai consueta nel linguaggio di quelli del Fatto. Ma neanche vuol passare da politico inaffidabile, come lo ha descritto Goffredo Bettini. Il problema, spiega Renzi nel suo intervento, è che la sinistra ha puntato sul cavallo sbagliato.

Renzi: Conte scelto dalla sinistra solo perché popolare

Il cavallo sbagliato è appunto Giuseppe Conte, che il Pd ha incoronato tradendo la sua identità e la sua ambizione di partito riformista. Tutta la coalizione di sinistra che si riconosce nel fronte Pd, Cinque Stelle, Leu, ha scelto il proprio leader – scrive Renzi “senza il passaggio delle primarie. Ha incoronato Conte non con una consultazione tra i militanti ma definendolo sui media “il più popolare” trasferendo la legittimazione dai gazebo ai sondaggi. Questa svolta, strutturale, parte dall’assurdo presupposto per il quale al populismo si risponde con la popolarità. Mentre invece per quelli come me al populismo si può rispondere solo con la Politica, con la p maiuscola”.

La scelta di Conte frutto di “sondaggismo esasperato”

Ma Giuseppe Conte meritava questa incoronazione. No, sostiene Renzi. Conte è stato “il leader che ha firmato i decreti Salvini sull’immigrazione, che ha affermato il Sovranismo davanti all’Assemblea Generale dell’Onu, che si è posto in scia di Trump alla Casa Bianca, che si è detto populista davanti ai giovani della scuola di formazione della Lega, che ha equiparato il garantismo al giustizialismo. Non importa ciò che uno ha detto o fatto, secondo questa visione del sondaggismo esasperato: conta essere il più popolare, quello con più like, quello con più followers”.

Renzi: Il Pd è ormai solo un puzzle di correnti

“Questo accade – conclude –  perché il PD appare più come un puzzle di correnti che non come una vera e propria casa del riformismo. E lo dico con l’amarezza di chi ha lasciato la comunità dalla quale era stato eletto due volte alla guida con il 70% (dei consensi, non dei sondaggi) proprio perché non poteva accettare una deriva populista l’idea di legarsi mani e piedi al carro del Movimento Cinque Stelle e alla leadership personale dell’ex premier Conte. Contro il quale – sia chiaro – non ho alcun elemento di risentimento personale ma rispetto al quale chi realmente ricorda la nascita del PD di Prodi e Veltroni non può che avvertire una marcata distanza di cultura politica”.

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