Antonio Delfini, ricordo di un “irregolare” del ‘900 oscurato dalla critica
“Potessi un giorno/ poter camminare da solo/ma solo solo/non come vado adesso/solo/ma solo solo/senza me stesso.” Passeggiata vagheggiata per le strade della sua Modena. Lo scrittore Antonio Delfini, in queste spiazzanti parole, sembra quasi anelare a un destino di evaporizzazione. Tramite il quale, purificarsi, raggiungendo l’essenza delle cose. Forse della vita. Città nebbiosa la sua. Carica di suggestioni, ammiccamenti. Nebbia così proterva, capace di ingoiare ombre, amori e rancori. Poggiati ai pilastri dei porticati s’indovinano sagome di coppiette più o meno clandestine.
Atmosfere surreali
Delineano, atmosfere impalpabili, surreali dalle quali è facile venir risucchiati. Rimangono sospesi rumori di passi. Risuonano anomali, con incomprensibile consequenzialità. Luci rade, fioche, da porticato. Biciclette, che trasportano aromi di salumi lavorati con impareggiabile perizia. Abituale, in quell’atmosfera, sfiorarsi, con cose, persone indistinguibili. Fucina di approssimazione la nebbia. Si può essere sfiorati dal peggior nemico, l’amante della sera precedente, restandovi indenni. Tutti camuffati da quella cera d‘umidità. Da quella vita in “sospensione”, costituita da cose non meglio definite.
Ne è rimasta più di una traccia, tra i comportamenti e le pagine delle opere dell’autore modenese. Tanto, che Antonio Delfini, verrà considerato uno scrittore anomalo. Inafferrabile. Del suo libro più celebre “Il ricordo della Basca”. Che Delfini stesso, considerò controverso per rispetto ai lettori, si sentì in obbligo di scrivere: Chiedo scusa al lettore per la lunga prefazione, o come la si vuol chiamare per Il Ricordo. Il Ricordo della Basca e, intanto gli faccio appello di non domandarmi … Perché la Basca. Chi è? Cosa vuol dire?” Il libro, una decina di racconti, raccolti alcuni di essi dopo essere già stati pubblicati precedentemente, furono da Eugenio Montale descritti come se fossero stati scritti da un autore: innocente, ironico, farsesco, inconsapevole.
Antonio Delfini, trovò i natali in una ricca famiglia di proprietari terrieri della Bassa Modenese, il 10 giugno 1907 a Modena luogo dove venne a mancare il 23 febbraio del 1963. Sandrone è la Maschera della sua città, contadino astuto, buono, con spiccato senso pratico. Il buonsenso è la sua bandiera. Qualità quest’ultima che certo non possiamo dire lo scrittore abbia pienamente ereditato. Nel 1927 fonda la rivista “L’Ariete”, con l’amico Ugo Guandalini futuro editore Guanda. Ebbe una sola uscita. Oppure “Lo spettatore italiano”, fondato e da lui diretto, che uscì solo per tre numeri. Risultati non troppo lusinghieri per un aspirante imprenditore di carta stampata.
La politica esercita sul giovane intellettuale modenese una forte attrazione fin dagli anni della primissima giovinezza. Tanto da farsi notare poco più che tredicenne nei primi raggruppamenti fascisti, per poi, quando verrà fondato nel Novembre del 1921, trovarlo regolarmente iscritto al Partito Nazionale Fascista.
La Politica: fu un anarchico di destra
La politica, fu sempre nei suoi orizzonti esistenziali, venata costantemente da aspetti paradossali. Alla fine della guerra dichiarò di detestare più gli antifascisti dei fascisti. Si definiva anarchico di destra. Nel 1951 redasse “Il Manifesto per un Partito Conservatore e Comunista”. Formazione che per la sua insita stravaganza ebbe esito nullo. Negli anni Trenta, si era trasferito a Firenze, dopo aver venduto la casa di Modena. Precedentemente dall’amico Mario Pannunzio aveva avuto modo di frequentare gli ambienti letterari romani venendo a conoscere tra gli altri Alberto Moravia.
L’amicizia tra i due era solidissima, con alti e bassi, come tutti i rapporti. Il tutto testimoniato da un epistolario tra loro pubblicato recentemente. Fondano anche insieme una rivista dalla durata di soli quattro numeri Caratteri. Il notevole sviluppo d’incremento della vita sociale con gli ambienti culturali Delfini lo ebbe con il suo trasferimento a Firenze. Entrò infatti nel mondo del Caffè “Le Giubbe Rosse”; da qui quindi la conoscenza e amicizia con scrittori quali Carlo Bo, Mario Luzi Romano Bilenchi, Tommaso Landolfi.
La letteratura francese
La letteratura francese, esercitò, fin dai primi passi, un richiamo forte per l’autore emiliano. Petits Poéme en prose, ad esempio, facente parte di una raccolta di prose del 1931 “Ritorno in città”, evidenzia dai debiti letterari, individuabili nel lavoro di Charles Baudelaire. La tentazione “francese”, non abbandonerà lo scrittore. Cosa, che lo indusse a inoltrarsi a operare tentativi al limite con la letteratura. La scrittura automatica, metodo di creazione sbandierato dai surrealisti di André Breton, fu una ipotesi di accrescimento espressivo, che utilizzò per la composizione nel 1957. Ma anche, per la ristampa della “Rosina perduta”, nel quale riporta all’attenzione del pubblico anche il racconto già pubblicato nel 1940 “Il fanalino della Battimonda”. La “scrittura automatica”, nasceva in un contesto di spontaneità, fuori da un pensiero strutturato. Spesso l’operatore, agiva in stato di “trance”. Tutti elementi, che mineranno il mordente di ordine di creatività letteraria del metodo.
In altri settori si collocherà su territori, forse più consoni. Ad esempio psicologia e parapsicologia. Antonio Delfini tra i vari pregi aveva quello dell’ironia e della autoironia. Celebre è rimasto il suo aforisma: “Uno scrittore è sempre qualcuno per me, che ha fallito qualcosa d’altro nella vita”. Delfini, per un insieme di motivi non facilmente individuabili, rimane in quel girone di sacrificati della letteratura nazionale.
La critica fu ingenerosa con lui
In certe situazioni già il suo atteggiarsi a dandy e provenire da una famiglia facoltosa non deponeva a suo favore. Laddove ancora era vivo il mito dell’artista maledetto. In più era un visionario di prima scelta, “polverina” espressiva come la chiamava lui, che non garbava in tutte le case editoriali. Grazie all’interessamento di Giorgio Bassani pubblicò “Poesie della fine del mondo”. Spinto alla scrittura del libro per storia d’amore dai risvolti dolorosi.
Possiamo dire che la società letteraria fu molto ingenerosa con lo scrittore modenese. Ma, come si suole dire, il tempo è galantuomo La Biblioteca del suo Comune è a lui intestata. Oggi la critica si è ricreduta su questo scrittore “abbandonato tra la nebbia”. Tanto che l’autorevole Andrea Cortellessa dice di lui: “Ma non ci sono scrittori più necessari di Antonio Delfini. Perché Delfini non è semplicemente un sottovalutato … Lo è in misura scandalosa. Uno scrittore costitutivamente irrealizzato. Per alcuni versi irreale. E dunque ogni volta tocca inventarselo”. La nebbia, per quanto severa e fitta, offre sempre degli squarci di purezza.