Strage di Bologna, ecco le motivazioni della condanna a Cavallini. Schiaffo alla verità

8 Gen 2021 19:18 - di Paolo Lami

È una sentenza “disperata” e imbarazzante quella depositata ieri a tarda sera sulla strage di Bologna contro l’ex-Nar Gilberto Cavallini condannato all’ergastolo perché ritenuto dalla Corte di Assise di Bologna colpevole per concorso nella strage del 2 agosto 1980.

Nel senso che le motivazioni della sentenza cercano di negare disperatamente e i nostri maniera imbarazzante quanto emerso in questi ultimi anni sull’oramai accertata pista palestinese. Cercano di ricacciare nell’ombra i fantasmi del passato, il Lodo Moro, gli accordi fra uomini dello Stato e terrorismo palestinese che sono, oramai, evidenza documentale, gli inquinamenti e i depistaggi, per incolpare a tutti i costi la destra costruiti con sfacciata certezza dell’impunità, da uomini dello Stato nonostante le evidenze emerse, i molti, troppi, legami, venuti a galla grazie al lavoro di giornalisti investigativi ed esperti, fra terroristi palestinesi, eversione rossa e pezzi dei Servizi segreti italiani. E poi le molte, imbarazzanti presenze, quel 2 agosto a Bologna, di terroristi rossi o di uomini dell’eversione rossa legati a doppio filo allo Stato come informatori o collaboratori laddove, invece, non c’è prova alcuna di presenze di elementi dell’estrema destra.

Fra i tanti estremisti rossi che c’erano quel giorno a Bologna e donne con passaporti contraffati che riportano al terrorista Carlos spicca il nome di Thomas Kram, anch’egli uomo di Carlos legato all’Fplp ed esperto di esplosivi, che mentì sulla propria presenza a Bologna salvo essere smentito dal ricercatore Gabriele Paradisi che è riuscito a recuperare il vecchio orario dei treni demolendo l’alibi di Kram.

Ecco come i giudici di Bologna ora cercano di salvare Kram.

Thomas Kram, terrorista tedesco legato al gruppo di Carlos, “sapeva di essere ‘mappato’ in tutti i suoi spostamenti, e quindi, verosimilmente, poteva non escludere di essere pedinato e/o sottoposto a servizio di osservazione, soprattutto dopo il controllo alla frontiera – sostengono i giudici. – Avrebbe quindi mai potuto ritirare da qualcuno una vistosa borsa contenente esplosivo, esponendosi al rischio di essere seguito e visto mentre lo riceveva? O addirittura, nel momento in cui si sarebbe recato alla stazione a depositarla dentro la sala d’attesa? Non regge”.

Nella sentenza si fa anche riferimento al fatto che Kram, l’1 agosto del 1980 aveva presentato “i suoi documenti autentici alla frontiera e poi in albergo”.

II 13 luglio 2013, si legge nelle motivazioni, “Thomas Kram si presentò spontaneamente alla Procura di Bologna e depositò un testo scritto, rifiutandosi di rispondere a qualsiasi domanda. Vi affermava che il ritardo che l’1 agosto 1980 aveva accumulato a causa dei controlli alla frontiera di Chiasso gli aveva impedito di raggiungere tempestivamente tale Elisabeth Schmolz, che lo attendeva a Milano, da dove avrebbe poi dovuto raggiungere Firenze e Perugia, Aveva quindi preso il treno per Bologna, ove era arrivato, sempre l’1 agosto 1980, ‘nel corso del pomeriggio’”.

“Sicuramente a Chiasso egli non era in possesso di esplosivo né di altro che legittimasse un suo fermo (fu perquisito) – scrive la Corte -. Né è pensabile che avesse appuntamento con qualcuno per farsi dare dell’esplosivo, in una sorta dì staffetta: non avrebbe viaggiato trasportando esplosivo con i suoi documenti autentici (a Chiasso non gli furono trovati documenti falsi). Forse a Milano doveva incontrare qualcuno. Forse, invece di andare direttamente a Firenze, scelse di fare tappa intermedia a Bologna in quanto lì aveva recapiti o conoscenti da contattare. Forse incontrò qualcuno che poi lo accompagnò a Firenze in auto (ciò spiegherebbe le sue menzogne a proposito delle modalità con cui vi giunse), qualcuno di cui non ha voluto fare il nome”.

A questo punto, “le ipotesi si affollano: qualcuno a Milano (dove arrivò con un ritardo imprevisto, mandando così all’aria eventuali appuntamenti che aveva), o nella tratta Milano-Bologna (per la quale fu costretto a prendere un treno diverso da quello che forse aveva programmato), o a Bologna (dove giunse sempre con un ritardo non preventivato, dunque in itinere), avrebbe dovuto consegnargli l’esplosivo? E Kram stesso (che, si ripete, al valico non l’aveva) avrebbe consegnato l’esplosivo a qualcun altro ancora?”.

“Queste – scrive ancora la Corte – sono solo mere, astrattissime ipotesi non suffragate da nulla, ma anzi apertamente contrastanti con la logica più elementare: addosso non gli fu trovato neanche un documento falso”.

È la stessa tesi che nelle Commissioni parlamentari d’inchiesta ha sempre propagandato il Centrosinistra nella strenua e inspiegabile difesa d’ufficio di Thomas Kram.

Ma, come detto, questa ricostruzione è stata già smentita, documentalmente, attraverso i vecchi orari dei treni, dal ricercatore Gabriele Paradisi.

“Il 2 agosto 1980 a Bologna erano presenti terroristi internazionali e italiani legati al gruppo di Carlos “lo Sciacallo”, esperti in trasferimenti di esplosivi, spesso per il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, frangia marxista dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e in connessione con il Kgb – ricorda il parlamentare di Fdi Mollicone. – Chiediamo che venga fatta chiarezza su queste vicende, perché le vittime e ai loro familiari meritano la verità storica e giudiziaria.”

La magistratura bolognese cerca di sostenere che lo spontaneismo armato dei Nar è un invenzione e non, invece, realtà acclarata da altri colleghi magistrati più che ferrati nelle indagini sul terrorismo nero.

Cerca di far quadrare un cerchio che non quadra sui rapporti, notoriamente tempestosi, fra le varie sigle dell’eterogenea galassia di destra, piegati forzosamente, ad un non credibile idillio teso a portare a compimento la strage tutti assieme.

Uno scenario talmente fantasioso e inveritiero, quello che mette insieme Nar, Avanguardia Nazionale e Terza Posizione, da risultare persino offensivo per le vittime. Che a distanza di 40 anni hanno diritto alla Verità. Non ad una verità ideologica. Fra Nar, Terza Posizione e Avanguardia Nazionale c’era una contrapposizione fortissima e inconciliabile, ben nota fra i magistrati più esperti di eversione nera e ben documentata in molte sentenze definitive.

E ancora. Arrivare a sostenere – come scrivono i giudici di Bologna – che la pista palestinese è una strategia difensiva obbligata, significa negarsi, ma soprattutto negare all’Italia e agli italiani, il diritto alla verità.

Decine di parlamentari di tutti gli schieramenti politici hanno potuto visionare i documenti – che Giuseppe Conte ha voluto testardamente continuare a nascondere agli italiani – dove sono scritte, nero su bianco, le minacce gravissime di attentati, una vera e propria escalation, dei terroristi arabi dell’Fplp contro l’Italia proprio a ridosso delle stragi di Ustica e Bologna.

Ma, d’altra parte, è sufficiente leggere nelle motivazioni come il giudice bolognese confonda il terrorista palestinese Abu Anzeh Saleh con Abu Ayad.

“La pista palestinese è circostanziata in atti e documenti, altro che campata per aria – ribatte il parlamentare di Fdi, Federico Mollicone fondatore dell’Intergruppo “La verità oltre il segreto”. – Dalla Procura forse un pregiudizio ideologico: la pista non fu mai veramente seguita con indagini ma venne archiviata in fretta e furia”.

”I cablogrammi di Giovannone, già parzialmente trapelati tramite il lavoro delle Commissioni parlamentari d’inchiesta, qualora confermati ufficialmente, racconterebbero una diversa narrazione della strage di Bologna e di tanti altri fatti, come la strage di Ustica, che avvengono nello stesso scenario internazionale”, osserva Mollicone.

”In particolare – ricorda il parlamentare di Fdi – Giovannone avrebbe confermato la volontà di ritorsione dei palestinesi verso l’Italia dopo l’arresto di Saleh e la conseguente rottura del ‘Lodo Moro’, l’accordo di santuarizzazione del territorio italiano in cambio dell’immunità per i militanti palestinesi”.

”Anche il Copasir – ricorda l’esponente di Fdi – chiese, con una deliberazione assunta alla unanimità e dopo aver letto quei documenti, di desecretare le note di Giovannone dal Libano inerenti nello specifico l’assassinio di Aldo Moro e le stragi di Ustica e Bologna”.

”Tutti coloro che hanno letto quelle carte – aggiunge Mollicone – sono convinti che possano contribuire a svelare la verità, quella che dobbiamo alle vittime e ai loro familiari”.

Ma c’è dell’altro. “È necessario fare chiarezza sulla vicenda del giudice Gentile e sugli inquietanti rapporti, con continui appuntamenti e scambio di regali, con il capo delle operazioni palestinesi in Italia Abu Saleh – insiste il parlamentare di Fdi – vero e proprio “filo rosso” che lega le vicende italiane dell’epoca e porta fino alla rete Separat di Carlos “Lo sciacallo”.

Per quaranta anni i resti di quella che si riteneva essere Maria Fresu, l’unica vittima scomparsa della strage di Bologna, sono rimasti dentro ad una bara accanto a quelli della figlia Angela. E quando si è scoperto che quei resti, in realtà, appartenevano non a Maria Fresu ma ad altre due donne diverse e sconosciute, la magistratura bolognese ha deciso di fermarsi sull’orlo del baratro, di non proseguire. Ha scelto di non guardare dentro quell’abisso, di non verificare a chi appartenessero davvero quei resti. Se ad altre due vittime o se, piuttosto, come sembra, alla terrorista che trasportava la bomba, l’86esima vittima.

E ora la magistratura, nella sentenza depositata ieri, ci dice che sarebbe stato illogico ipotizzare la sostituzione dei resti di Maria Fresu per nascondere l’identità della terrorista sventrata dalla stessa bomba che stava trasportando.

“Rispetto a tutte le novità emerse nel dibattimento, la risposta della Corte è stata disarmante e inaccettabile”, dice all’Adnkronos l’avvocato Alessandro Pellegrini, commentando le motivazioni della sentenza di condanna del suo assistito, l’ex Nar Gilberto Cavallini, per concorso nella strage di Bologna.

“La Corte – ha sottolineato Pellegrini – ha avuto il merito di disporre una nuova perizia sull’esplosivo e la prova del dna sui resti di Maria Fresu. Ma non ha poi saputo valutare nel modo dovuto le risultanze di queste perizie. Non ha saputo dare una risposta alle domande fondamentali: che fine ha fatto il corpo della Fresu? E a chi apparteneva il lembo facciale erroneamente attribuito alla giovane mamma?”.

”Quello che è certo – sottolinea Pellegrini – è che non apparteneva a nessuna vittima conosciuta. E a dirlo è la stessa Corte, e che apparteneva invece a un soggetto il cui corpo non è stato reclamato da nessuno. E questi sono due punti fondamentali, dati incontrovertibili emersi in questo ultimo dibattimento a cui è dovere della magistratura dare una risposta”.

Secondo Pellegrini, i giudici della Corte d’Assise, dunque, “hanno evitato di trarre le dovute conseguenze da perizie che hanno loro stessi disposto”.

Eppure, sottolinea il legale, “è assolutamente impossibile che il corpo della Fresu sia stato distribuito in altre bare, come lascia supporre la sentenza, perché tutti i corpi sono stati ricomposti al momento di essere seppelliti, come ci dicono le relazioni dei medici legali. Ipotizzare questo sarebbe ipotizzare che in una bara ci siano magari due tronchi o tre braccia ed è impossibile. Il corpo di Maria Fresu è scomparso”.

Pellegrini aggiunge che “dovrà leggere bene le motivazioni (un documento di oltre duemila pagine, ndr) prima di dire altro”.

Ma perché, secondo la magistratura bolognese, Cavallini avrebbe fatto la strage quel 2 agosto?

Ecco come i giudici risolvono, con una notevole dose di fantasia, l’arcano:

“Cavallini aveva concepito una vera e propria idolatria verso la figura di Adolf Hitler, come avvertiva grande attrazione verso altre figure di dittatori”, è scritto in un passaggio delle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo di Gilberto Cavallini, ritenuto dalla Corte di Assise di Bologna colpevole per concorso nella strage del 2 agosto 1980.

“Il 2 agosto – continuano le motivazioni della sentenza -, all’incirca a metà mattina, segna una ricorrenza storica e fondante nella storia del nazismo: la fine della Repubblica di Weimar e la contestuale nascita ufficiale dello Stato assoluto e della figura del Fuhrer in capo ad Adolf Hitler”.

Insomma sarebbe questo il motivo scelto per fare la strage.

“Da restare esterrefatti”, commenta l’avvocato Pellegrini per la “supposizione che il 2 agosto sia stato scelto come data per la strage perché era il giorno della caduta di Weimar” e dunque, scrive la Corte, dell’inizio del regime nazista.

E per collegare Cavallini a Gelli – che la magistratura bolognese sostiene essere il finanziatore della strage, ma in contanti, ovviamente, perché di prove, in questo senso, non vi è traccia – nelle motivazioni si arriva a sostenere che l’ex-Nar fu latitante in Argentina dove il Venerabile “era un’autorità”.

Peccato che Cavallini fu latitante in Bolivia non in Argentina dove semplicemente transitò per lasciare la Bolivia.

Gilberto Cavallini, insiste la Corte, “poteva contare su appoggi e protezioni consistenti anche in Svizzera”. E aveva entrate forse nell’ordine di milioni di dollari, che non derivavano certo dalle rapinette del ‘Nucleo Zeppelin’, dalla ricettazione del ricavato della rapina in danno di Mardochai Fadlun (i cui proventi doveva dividere con Giuliani e Fachini), o dagli omicidi o dalle stragi (a meno che per queste cose non fosse lautamente pagato da qualcuno). Né dai traffici di armi (le armi le vendeva, ma doveva anche comprarle per l’attività criminale sua e del gruppo), né dal traffico di droga (non stiamo parlando di Pablo Escobar)”.

Ma, in realtà, non esistono documenti che provino, né forse, né certamente, entrate di milioni di dollari per Cavallini.

E i depistaggi costruiti da faccendieri e 007 italiani contro la destra? C’è una sentenza di condanna che li certifica mettendo in fila i nomi dei depistatori contro la destra: Belmonte, Musumeci, Pazienza…

Ebbene per i giudici bolognesi quei depistaggi contro la destra sono la prova che agli autori andava la protezione dello Stato. Ci sarebbe da ridere se la faccenda non fosse drammaticamente seria.

Facile risolvere le questioni che non tornano denunciando per falsa testimonianza o calunnia chi non la pensa come la magistratura bolognese, chi si ostina a raccontare la Verità e non una verità di comodo.

E così la Corte di Assise di Bologna se la cava denunciando dodici persone tra cui altri due ex-Nar già condannati per la strage del 2 agosto 1980, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini. Oltre a Stefano Sparti (figlio del contestato supertestimone Massimo Sparti) per reati che sarebbero stati commessi nel corso del dibattimento, come risulta dalle motivazioni della sentenza di condanna di Gilberto Cavallini.

In particolare la denuncia per falsa testimonianza finalizzata a depistare un processo penale in materia di strage è scattata tra gli altri per Fioravanti, Luigi Ciavardini (già in corso di dibattimento), per l’ex-compagna di Cavallini Flavia Sbrojavacca, e per Stefano Sparti.

Mentre Mario Mori, ha scritto il presidente Leoni, va denunciato per falsa testimonianza e perché reticente.

E solo perché non si sono adeguati a quello che pretendeva la magistratura bolognese.

Il giudice Leoni contesta poi a Fioravanti la calunnia nei confronti dell’ex-pm Claudio Nunziata, dell’allora capitano dei Carabinieri Giampaolo Ganzer, che l’ex-Nar ha accusato di tentato omicidio ai suoi danni, e dell’allora direttore del Dap Nicolò Amato, che invece ha accusato di concussione. Per Valerio Vinciguerra gli atti erano già stati trasmessi in Procura per valutarne la reticenza. Insomma, chi osa dissentire sa cosa lo attende.

Se questo non è un regime giudiziario c’è da chiedersi cosa altro lo sia.

 

 

 

 

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