Sentenza Alemanno, le motivazioni non spiegano. Sansonetti: «Verdetto politico» (video)

22 Gen 2021 16:27 - di Francesca De Ambra
Alemanno

Hanno suscitato un’eco alquanto ovattata le motivazioni della sentenza con cui, il 23 ottobre scorso, la Corte d’appello di Roma ha confermato la condanna di Gianni Alemanno. Eppure erano attese per capire il percorso logico in base al quale i giudici hanno dichiarato corrotto l’ex-sindaco di Roma in assenza del corruttore. Invece, il buco nero è ancora lì, sotto forma di ribaltone logico-giuridico che di fatto scarica su un solo imputato le conseguenze di un reato a concorso necessario. Infatti, di concorrente ne indica uno solo: Alemanno. L’altro, il corruttore, cioè Salvatore Buzzi non c’è più per decisione della Cassazione che ne ha derubricato la condotta nel ben più lieve traffico d’influenze, reato di nuovo conio e di incerto confine. Riepilogando, la Suprema Corte ha scritto una cosa e i giudici d’appello un’altra che la smentisce.

Alemanno corrotto senza corruttore

Il che non sarebbe tecnicamente possibile. Fino a prova contraria è solo la Cassazione che può far coriandoli delle sentenze che le arrivano dai tribunali, non il contrario. Con Alemanno, invece, è accaduto. Infatti, i giudici hanno elevato a «dato oggettivo» della corruzione dell’ex-sindaco le «intercettazioni in cui Salvatore Buzzi spiega agli interlocutori di turno che ha sempre finanziato i politici di qualsiasi estrazione (…) quelli di destra li aveva a libro paga ed erano da lui finanziati in vista delle elezioni (…)». Ma qui torniamo a bomba, perché la Cassazione ha escluso che la condotta di Buzzi sia configurabile come corruzione. Ciò nonostante, la corte d’Appello ha raddoppiato la pena richiesta dalla Procura generale, cioè dall’accusa: 6 anni invece di 3. Una decisione che in un video Piero Sansonetti, direttore del Riformista e comunista non pentito, interpreta come una vendetta dei giudici di secondo grado contro la Cassazione.

Buzzi: «Mai dato soldi all’ex-sindaco»

Di certo c’è che non tutti hanno gradito la demolizione della tesi di Roma “Mafia capitale”. L’aveva ribattezzata così il procuratore Pignatone. Ma per la sua ardita tesi i tre gradi di giudizio si sono uno stress test insuperabile. Eliminata in primo grado, ripristinata in secondo, definitivamente cancellata nel terzo. Nel frattempo, a beneficiare politicamente del clamore mediatico dell’inchiesta è Virginia Raggi, non a caso presente ad ogni lettura di sentenza. Ma torniamo al buco nero, anzi i buchi, perché ce n’è un secondo che riguarda il merito della vicenda. I soldi ad Alemanno, Buzzi li ha dati o no? Per i giudici senza dubbio sì. Ma Buzzi lo ha sempre e decisamente negato, sia nel suo processo sia testimoniando in quello dell’ex-sindaco. Lo ha fatto ancora una volta in un post su Fb a commento delle motivazioni.

I legali: «Giudici condizionati da suggestioni»

«Io ho sempre detto – vi si legge – che ho dato io i soldi a Panzironi (ad di Ama, ndr) che mi chiedeva tangenti per dar corso a pagamenti di crediti certi e dovuti che le mie cooperative avanzavano da tempo (…)». Dunque, nessun passaggio diretto di denaro da Buzzi ad Alemanno. Era allora Panzironi l’intermediario delle illecite dazioni? Risponde ancora Buzzi: «Un paio di volte chiesi a Panzironi se l’allora sindaco era a conoscenza della cosa e lui me lo negò in modo categorico e con un linguaggio un po’ triviale. Questa è la verità». Già, ma per averla non resta che confidare ancora nella giustizia. «Abbiamo molti argomenti da proporre alla Cassazione – assicurano i legali di Alemanno – che saprà sottrarsi alle suggestioni che hanno condizionato, in tutta questa vicenda i giudici del merito». E così sia.

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