Borsellino-quater, i giudici: «La strage di via D’Amelio non dovuta alla trattativa Stato-mafia»

20 Gen 2021 16:39 - di Francesca De Ambra
Borsellino

Paolo Borsellino fu ucciso dalla mafia, ma non per effetto della trattativa Stato-mafia. È questa la sintesi della sentenza del processo Borsellino-quater, le cui motivazioni sono state oggi depositate dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta. Significa che crolla la tesi che fa discendere la strage di via D’Amelio dalla decisione di Cosa Nostra di cercare nuovi equilibri politici dopo la rottura di quelli tradizionali. È la tesi, per intenderci, riproposta da Report nelle settimane scorse. Secondo tale vulgata, il magistrato sarebbe stato sacrificato sull’altare di una trattativa tra pezzi dello Stato e mafia, intermediata da Vito Ciancimino. Borsellino l’aveva intuito e per questo doveva morire.

Depositate le motivazioni della sentenza d’appello

Un assunto, scrivono i giudici, che «non può condividersi». A decidere la morte di magistrato, inserita nell’ambito di una più articolata «strategia stragista» unitaria, è stata la «finalità di vendetta e di cautela preventiva» di Cosa Nostra. Una strategia – si legge ancora nelle 377 pagine di motivazione – «risalente alla riunione degli “auguri di fine anno 1991″». Vuol dire che tra le stragi di Capaci (Falcone) e via D’Amelio (Borsellino) non v’è «soluzione di continuità». La seconda, insomma, non è autonoma dalla prima. Lo aveva già specificato la Cassazione nel Borsellino-ter. Ora lo ribadiscono anche i giudici di Caltanissetta.

Borsellino indagava sul dossier mafia-appalti

Borsellino indagava sulla pista dell’intreccio mafia-appalti istruito dal generale Mori, poi imputato nel processo sulla “trattativa”.  E questo ne faceva un bersaglio costantemente nel mirino di Cosa Nostra. A Palermo come a Marsala, sua ultima destinazione. «Anche dopo il suo trasferimento – scrivono infatti i giudici – Borsellino aveva continuato la sua instancabile opera nel contrasto alla criminalità organizzata (…)». La qual cosa lo rendeva «ben visibile» agli occhi della mafia «che continuava a concepire propositi omicidiari nei suoi confronti». Restano invece privi di riscontro altri elementi “forti” della “trattativa”. A cominciare dalla presenza di persone legate ai Servizi presenti sul luogo era strage subito dopo l’esplosione della 126 imbottita di tritolo. Agenti deviati  incaricati di recuperare la famosa agenda rossa sui cui Borsellino annotava tutto.

«Mosaico pieno di ombre»

Sul punto, però, le deposizioni dei testi escussi hanno creato contraddizioni definite «non superabili» e tali da «gettare il dubbio» su presenze di agenti «in giacca nonostante la calura e l’ora torrida» appartenenti ai servizi segreti. Di uomo estraneo a Cosa Nostra presente alla consegna della 126 parla anche Gaspare Spatuzza, ex-fidatissimo del boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, ora collaboratore di giustizia, che si è autoaccusato della morte di Borsellino svelandone i depistaggi investigativi. Un particolare che i giudici definiscono «inquietante». E che li conduce a ritenere «possibile» che la “sentenza di morte” emessa dalla mafia «abbia intersecato convergenti interessi di altri soggetti o gruppi di potere estranei a Cosa nostra». Via D’Amelio, insomma, resta un «mosaico pieno di ombre»

 

 

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