Uccise la moglie a coltellate: assolto perché in preda a “un delirio di gelosia”

9 Dic 2020 18:22 - di Davide Ventola
uccise la moglie, brescia

Ha ucciso la moglie ma i giudici lo hanno assolto per “un delirio di gelosia”. Una condizione che lo ha reso incapace di intendere e di volere. Con questa motivazione la Corte d’Assise di Brescia ha chiuso il processo nei confronti di Antonio Gozzini, il 70enne che l’anno scorso uccise a coltellate nel sonno sua moglie, Cristina Maioli, professoressa di scuola superiore di 63 anni.

Uccise la moglie nell’ottobre 2019

“E’ una sentenza che io ritengo giusta e anche l’unica possibile”, spiega il legale di Gozzini, Jacopo Barzellotti. Secondo l’avvocato bresciano, “nel corso del processo questo aspetto di incapacità di intendere e volere è stato vagliato con molto scrupolo”.
“Si è compresa esattamente la patologia che affligge Gozzini”, rimarca il legale. “Ovviamente, nel corso delle indagini, i magistrati hanno condotto anche una consulenza tecnico-psichiatrica. Tanto il consulente del pm quanto quello della pubblica difesa avevano concluso per l’incapacità totale di intendere e di volere del mio assistito”. Quindi, aggiunge, l’avvocato, “nel processo si è voluto fugare ogni dubbio. In particolare offrire spiegazioni alle perplessità che un terzo consulente, quello delle persone offese dei congiunti della signora Maioli aveva espresso nel proprio elaborato. Ma ripeto, questa è la sentenza giusta e l’unica possibile in questa situazione”.

Il pm aveva chiesto l’ergastolo

Il pm Claudia Passalacqua aveva invece chiesto l’ergastolo per l’uomo. Il 70enne uccise la moglie a coltellate per poi vegliare sul cadavere per due giorni prima di chiamare i soccorsi e confessare il proprio gesto, pur non sapendo spiegare il perché. Dopo l’aggressione mortale, disse di aver tentato il suicidio provando a tagliarsi le vene e ad ingerire farmaci, ma non ci riuscì.

Inizialmente si ipotizzò l’incapacità di intendere e di volere dell’uomo, considerato anche il suo passato caratterizzato da un periodo di depressione, ma successivamente, secondo la pubblica accusa, il 70enne sarebbe stato lucido al momento del delitto, tanto da essere in seguito ammesso a processo perché considerato in grado di stare a giudizio.

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