Libia, i racconti choc dei pescatori sequestrati che smentiscono il governo Conte

21 Dic 2020 19:06 - di Paolo Lami

Il governo Conte ha mentito sulla vicenda dei 18 pescatori italiani sequestrati in Libia e tenuti in cella per 3 mesi dai loro rapitori.

Questa è l’unica cosa certa mano a mano che emergono ulteriori dettagli dai racconti dei marittimi tornati a casa, a Mazara del Vallo, l’altroieri, dopo una prigionia terribile patita in Libia.

Il governo aveva rassicurato le famiglie dei pescatori che i loro congiunti stavano bene. È così aveva anche detto alle opposizioni, a Fdi, alla Lega e a Forza Italia, che chiedevano conto di quel sequestro anomalo.

E invece i racconti dei pescatori tornati da poche ore in Italia disegnano tutto un altro scenario.

Un quadro fatto di vere e proprie torture psicologiche, di vessazioni e violenze non solo verbali, di insulti, di tentativi di creare false accuse. Come un inesistente traffico di droga di cui i libici hanno cercato di accusare i 18 pescatori.

“Siamo stati maltrattati anche se non ci hanno mai picchiati – racconta Jemmali Farhat, uno dei pescatori liberati in Libia, prima di entrare nella caserma dei carabinieri di Mazara del Vallo. – Tra i nostri carcerieri c’erano giovanissimi militari. Abbiamo visto dei detenuti picchiati selvaggiamente”.

E alla domanda se tornerà in mare il pescatore tunisino ha replicato: “non voglio più tornare in mare, basta”.

“Siamo stati anche accusati di essere trafficanti di droga, hanno scattato delle foto, ma non era vero niente”, aggiunge Jemmali Farhat che è stato interrogato dai Ros su delega della Procura di Roma.

“Ci dicevano che avevano trovato 10 kg di droga – rivela il pescatore sequestrato il 1° settembre assieme ai 17 colleghi al largo della Libia. – Ma noi siamo pescatori, quale droga dobbiamo portare”.

“In carcere c’erano con noi diversi intellettuali, professori, scienziati, che venivano maltrattati. Sono stati arrestati senza alcun motivo. Sono lì per colpa dell’Isis. Il mondo intervenga”, ha esortato  Hedi Ben Thameur, 59 anni, un altro dei pescatori tunisini sequestrati in Libia.

Hedi Thameur sfoga tutta la sua amarezza per la terribile detenzione vissuta in Libia mentre il governo Conte tranquillizzava tutti dicendo che i rapiti stavano bene: “Abbiamo dormito per più di tre mesi a terra, senza materasso, senza cuscino. Ho dolori su tutto il corpo e non mi davano nemmeno le medicine”.

Ma c’è anche a chi è andata molto peggio.

Durante le primissime fasi del sequestro, di fronte alla Libia, due pescherecci sono riusciti a scappare, “Natalino” e “Anna Madre”, mentre “Medinea” e “Antartide” sono stati presi in ostaggio. E questo ha scatenato la rabbia dei rapitori che si sono vendicato su alcuni dei 18 pescatori rimasti bloccati.

“Per punizione siamo stati picchiati io e Gaspare Giacalone del peschereccio “Anna Madre”. E’ stato orribile, ho avuto dolori alle gambe per giorni”, rivela Bernardo Salvo, un altro dei pescatori liberati in Libia.

Salvo fa fatica a parlare. Ma all’Adnkronos esprime tutta la sua rabbia per essere stato abbandonato dal comandante.

“Sono stato abbandonato dal mio comandante che è scappato con il peschereccio. Neanche un padre abbandona un figlio e lui lo ha fatto. Non lo posso perdonare – si accalora Bernardo Salvo. – Subito dopo sono stato picchiato dai militari libici, che mi hanno dato schiaffi, calci, ginocchiate. E mi minacciavano di tagliarmi la gola. E le gambe. È stato terribile. Ho avuto paura di non rivedere più la mia famiglia. È stato un incubo durato più di tre mesi”.

Ma ecco cosa accadde quel primo settembre nelle acqua internazionali che, secondo i libici, sono invece acque territoriali.

“Di sera siamo stati circondati da una motovedetta prima di militari armati – ricostruisce Salvo. – Hanno fatto scendere sulle loro imbarcazioni i comandanti e me, che sono un timoniere. Ma Luciano Gancitano, il comandante del mio peschereccio, il “Natalino”, è scappato. E, per “punizione” sono stato picchiato”.

“No, non lo perdonerò mai – giura il pescatore. – Mi ha abbandonato lì, senza interessarsi dei pericoli che stavo correndo. Non lo voglio più vedere in vita mia”.

Anche Bernardo Salvo ha sentito parlare, come altri suoi colleghi marittimi, di uno “scambio tra prigionieri”.

Ed è uno degli aspetti che investigatori e Procura – ma anche l’opposizione – intendono chiarire.

“Uno dei pescatori tunisini aiutava in cucina – racconta Bernardo Salvo all’Adnkrokos. – E si è fatto amico i carcerieri. E ci ha detto che noi saremmo stati rilasciati solo in cambio della liberazione di quattro detenuti libici in Italia. Ma non sapevamo se fosse vero. Però lo ha detto più volte”.

I ricordi di Salvo si appuntano soprattutto su quella che in molti definiscono la “stanza nera”.

“Ci hanno tenuti in una stanza tutta dipinta di grigio scuro e nero, dal pavimento alle pareti, e non vi erano finestre – spiega. – Era tutto buio. Accendevano ogni tanto la luce ma poi la spegnevano subito”.

Ma come ha superato questi tre mesi di inferno? “Ci facevamo forza l’un l’altro – dice Salvo. – Solo che nelle ultime settimane eravamo davvero molto giù di morale. Pensavamo di dovere trascorrere anche il Natale in carcere”.

Nel frattempo le mogli e le figlie dei pescatori, vedendo che il governo Conte non si muoveva e che gli appelli del Centrodestra cadevano nel vuoto, si sono sistemate in una tenda all’ingresso del Parlamento.

“Ho visto ieri per la prima volta quelle immagini e quello che mia moglie ha fatto. Sono rimasto senza parole”.

Nel trasferimento da un carcere all’altro Salvoha potuto vedere Bengasi. “Una città fantasma – dice. – Giravano solo militari. E non ho mai visto un bambino. Di notte sentivamo dalle nostre finestre gli spari dei fucili“.

Salvoracconta che dopo la liberazione, quando stavano per ripartire e i motori dei peschereccinon funzionavano. E, dice, “abbiamo avuto paura di tornare in carcere”.

“E’ venuto un nostro amico italiano. E ci ha detto “andate via subito perché altrimenti rischiate di essere nuovamente portati un prigione perché diceva che i parenti dei 4 detenuti libici che dovevano essere liberati in cambio del nostro rilascio erano molto arrabbiati perché i loro congiunti ancora erano in carcere”.

Un’ulteriore conferma di uno scambio tra prigionieri.

“Ci hanno trattati malissimo, non ci picchiavano ma minacciavano di farlo – rincara la dose, piangendo, un giovane pescatore senegalese sentito, anche lui, dai carabinieri del Ros nella caserma di Mazara del Vallo. – Gridavano, ci facevano mettere con la faccia al muro. E’ stato un incubo”.

Il ragazzo racconta a fatica le angherie subite in carcere in Libia.

“Ci facevano fare la pipì in una bottiglia– dice con un soffio di voce – è stato terribile. Abbiamo dormito tre mesi a terra, senza un materasso o un cuscino”.

Lysse Ben Thameurè il primo ufficiale del “Medinea”.

Anche i suoi racconti sono terribili. E confermano quanto già detto dai suoi colleghi.

“Dopo il sequestro– rivela – mi hanno portato in una piccola stanza piena di militari dove mi hanno bendato quasi subito. Mi hanno quindi fatto toccare con le mani dei panetti di hashish. Credo per lasciare le mie impronte. Appena mi hanno tolto la benda dagli occhi mi hanno detto che il comandante della barca aveva già confessato di essere un trafficante di drogae mi hanno detto che avrei dovuto confermarlo. Ma io non ho mai visto della droga sul peschereccio e mi sono rifiutato. E i militari mi hanno minacciato dicendomi che se non avessi accusato il comandante loro avrebbero accusato me e mio padre e che avremmo rischiato entrambi l’ergastolo. E che avrebbero mandato la squadra dei torturatori. Sono stati momenti terribili”.

Figlio di tunisini nato in Italia e con la cittadinanza italiana, Lysse Ben Thameur racconta con fatica quei momenti.

“Sono stato costretto a stare bendato, in piedi, con la faccia contro il muto per un giorno intero – dice prima di salire in caserma. – Mi hanno tenuto tutta la notte senza cibo. E, verso le undici del mattino dopo, sono svenuto. Solo allora mi hanno tolto le bende”.

Lysse ricostruisce così le ore successive al sequestro da parte dei militari libici.

“Mi hanno portato in una stanza dopo avere attraversato dei cancelli in ferro. Lì mi hanno bendato. Poi mi hanno trascinato con la forza nella stanza degli interrogatori. E mi parlavano in arabo. Io lo capisco ma non lo parlo bene. Quindi hanno preso anche un traduttore, ma notavo che lui diceva cose diverse da quelle che dicevo io. Dicevano in arabo quello che voleva lui”.

“Poi sempre bendato – aggiunge il pescatore – mi hanno fatto odorare una bottiglia di vino e mi hanno chiesto se io sapessi cosa ci fosse dentro e ho detto che era vino”.

“Subito dopo mi hanno messo una cosa in mano, sembrava una cosa morbida. Lì ho capito che era droga. Forse volevano che lasciassi lì le mie impronte – ipotizza il pescatore. – Successivamente mi hanno messo dell’inchiostro su ogni dito, come se dovessero prendermi le impronte. Insomma stavano facendo di tutto per incastrarmi”.

“Appena mi hanno tolto la benda – racconta il marittimo – ho visto davanti a me, sul tavolo, dieci pezzi di fumo, di hashish. Lo so perché quando ero adolescente mi sono fatto qualche canna…”. E mi hanno detto: “Lo sai cosa è questa?”. “Li ho guardati e ho annuito. E loro mi hanno detto: “E’ vostra. Ce lo ha confermato il tuo comandante Marrone”. Ma io non potevo crederci”.

I militari, che erano in borghese, continuavano a entrare e a uscire da quella stanza.

“C’era una telecamera accesa che riprendeva tutto – ricorda ancora Lysse – io non capivo più niente. Ero stanco, avevo fame, ero spaventato”.

Poi, secondo il racconto del primo ufficiale italo-tunisino, i militari libici gli avrebbero detto: “Se dici che la droga era del comandante noi ti aiuteremo, devi dire che lui traffica in droga”. Ma io non ho mai visto dello stupefacente sul peschereccio e Piero (Pietro Marrone ndr) non ha mai fatto uso di droghe”.

A quel punto i libici sono passati alle minacce.

“Mi hanno detto con voce grossa che se non avessi accusato il mio comandante allora le accuse sarebbero state rivolte a me e a mio padre e che rischiavamo l’ergastolo per questo”.

Gli aguzzini libici hanno, quindi, iniziato a guardare il cellulare di Lysse.

“Guardavano tutte le mie foto private e mi chiedevano chi fossero quelle persone – racconta il giovane marittimo. – C’erano i messaggi con la mia ragazza, ad esempio, o con i miei amici. E loro volevano sapere chi fossero quelle persone”.

“Quando dopo ore non ho voluto accusare il mio comandante sono passati alle minacce – racconta ancora Lysse – mi hanno detto: “Sta venendo una squadra a torturarti. Tu sei un bugiardo e un pezzo di merda”. Poi mi hanno fatto uscire fuori con la faccia al muro. Mio padre non era con me. Appena mi giravo mi gridavano contro con violenza: ‘Devi stare con la faccia al muro’. Mi davano dei colpi sul braccio e continuavano a minacciarmi che avrei avuto l’ergastolo insieme con mio padre”.

Una tortura psicologica durata quasi venti ore.

“A mezzogiorno sono svenuto – dice il primo ufficiale del Medinea – Poi sono caduto a terra per la stanchezza. Senza cibo. E mi hanno portato in isolamento. C’era un buco per terra per fare i propri bisogni. Era tutto buio. Ero solo. Completamente solo”.

Solo dopo tempo lo hanno fatto uscire dall’isolamentoe portato insieme con gli altri pescatori italiani.

“Eravamo in nove su un pick up. E ci hanno portato in un posto molto vicino, l’auto avrà fatto meno di trenta metri. E ci hanno fatto entrare in un carcere militare– ricorda – Qui ci hanno spogliato. Ci volevano gettare addosso della polverina bianca. E poi lavarci con una pompa di acqua. Ci hanno detto i detenuti che era il modo in cui li lavavano. Poi però non lo hanno fatto”.

Lyssericorda che sono stati 108 giorni “di inferno”“Voglio dimenticare al più presto, ma non sarà facile”.

Ora toccherà al governo Contespiegare perché ha mentito sulle condizioni di detenzione dei 18 pescatori.

C’è già qualcuno che chiede una Commissione d’inchiesta.

Commenti

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  • Giuseppe Forconi 23 Dicembre 2020

    Pur prendendo con le pinze la relazione dei marinai , non c’e’ dubbio che i libici hanno fatto quanto racontato.
    La vergogna pero’ ricade sulle falsita’ del governicchio conte , di maio, lamorgese, bellanova e tutto il resto dei poltronati comunisti.
    L’augurio piu’ profondo e’ che quanto sofferto dai pescatori, in ugual misura possa arrivare anche a costoro.
    Per quanto riguarda gli stupidi e insignificanti commenti che sono stati scritti su i social del FB e Twitter da parte di soggetti con spiccata mentalita’ comunista che esaltavano il profondo interessamento, ringraziando conte e il di maio per il risultato ottenuto con la liberazione dei pescatori. La vergogna piu’ profonda del governo, farcito da menzogne non poteva essere piu’ chiaro e lampante il loro menefreghismo.
    Al contrario di una destra unita (purtroppo beffeggiata nei social dalle sinistre ) che ha giornalmente incitato il governo ad agire. Ecco la differenza tra destra e sinistra e non come normalmente criticano costoro indicandoci come fascisti, dimenticando che il vero fascismo e’ a sinistra.

  • Adriano Callegari 22 Dicembre 2020

    Non esiste alcuna civiltà e democrazia in questi paesi e il nostro governo continua a far arrivare in Italia questa gente.
    Conte dovrà rendere conto anche di questo, o ha mentito o si è fatto abbindolare dai libici, in entrambi i casi si è dimostrato insignificante come capo del governo e non merita di governare l’Italia per incapacità. In ogni caso, ogni cosa a suo tempo, anche di questo dovrà rendere conto al Popolo Italiano. Ormai i tempi di Conte sono finiti!

  • Maria Letizia Angeli 22 Dicembre 2020

    In Libia purtroppo ora ci sono i barbari del medioevo come civiltà . Gheddafi fu un grande,aveva portato la Libia ad un livello di benessere . Ovviamente i suoi nemici lo denigravano ,ma era amico dell’ Italia ,a quel tempo con la destra al governo. La cosa dava fastidio a Francia e Germania che lo fecero uccidere selvaggiamente. Dopo di lui il disastro. Maria Letizia Angeli

  • sergio la terza 22 Dicembre 2020

    Il generale per evidenziarsi ha volute due teste di Minghia alla sua corte.altea figura di merda.

  • Carla 22 Dicembre 2020

    Questo è il trattamento riservato agli italiani! Siamo considerati meno che niente!! Meno male che sono stati liberati! Era ora!

  • Giuseppe 22 Dicembre 2020

    Governatori di CARTA PESTA – NON HANNO ORGOGLIO ITALIANO – SENZA ONORE NE DIGNITÀ . SOLO PAGLIACCI, PARASSITI CRONICI. VIVA L’ITALIA CON ORGOGLIO. PACE E BENE A TUTTI