Riforme, Toti vuole il «quasi federalismo». Ma il governatore è su una strada scivolosa. Ecco perché

6 Nov 2020 15:15 - di Mario Landolfi
Toti

«Molto bene una riforma del Titolo V della Costituzione, ma in una direzione quasi federalista». A parlare così è Giovanni Toti. A parte quel «quasi», che fa venire in mente la storiella della ragazza incinta «ma solo un po’», al governatore della Liguria va riconosciuto il merito il aver messo finalmente i piedi nel piatto. Il Titolo V va ri-cambiato. Lo fece già la sinistra (governo Amato) nel 2001, e quella riforma si è rivelata un disastro di cui paghiamo le conseguenze oggi con il caos istituzionale tra Stato e e Regioni. Le convergenze con Toti, tuttavia, finiscono qui. Perché lui vorrebbe imprimergli la già citata direzione «quasi federalista» mentre per chi scrive il disordine attuale imporrebbe tutt’altro, cioè il ritorno di alcune competenze all’autorità centrale.

Toti: «Cambiare il Titolo V»

Nel frattempo, è il caso di mettere i puntini sulle “i”. Cominciando col ricordare che il federalismo non è sullo scaffale delle opzioni possibili. Per il semplice fatto che federalisti si nasce, non si diventa. Nel senso che i modelli che come tali contiamo nel mondo, lo sono da sempre. Almeno dal momento in cui hanno stipulato il patto (foedus) attraverso il quale hanno realizzato l’unità politica. In Italia avremmo potuto sceglierlo durante il Risorgimento. Lo propugnava il milanese Carlo Cattaneo. E non per fare il proprio comodo in Lombardia bensì per unirsi a quelli che considerava i suoi fratelli siciliani, napoletani o calabresi coi quali condivideva storia, lingua e religione ma non anche la condizione di suddito o di cittadino. Non ebbe fortuna. Alla sua tesi fu preferita l’annessione e buona notte.

Il pericolo della secessione mascherata

Oggi Toti ( e non solo lui), vorrebbe rifare il cammino a ritroso e rendere l’Italia «quasi federalista». S’accomodi pure, a patto che sappia di aver imboccato la strada che presto o tardi condurrà alla disintegrazione dell’unità nazionale. È un percorso privo di aree di sosta. La politica, si sa, non dispensa vaccini: spaccia droghe. Un po’ di autonomia incentiva la voglia di federalismo e un po’ di federalismo non immunizza dall’indipendentismo e infine dalla secessione. La Catalogna non è lontana. Ed è sindrome catalana quella che spinge parte del Nord, certamente il Veneto, a richiedere, Titolo V alla mano, più poteri, più risorse, più autonomia. È una parte d’Italia che vuol far da sola. Meglio, è secessione mascherata. L’esatto contrario dell’obiettivo di Cattaneo. Che infatti, a differenza di Toti, il federalismo lo voleva senza il «quasi». E una ragione ci sarà.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *