Italo è al lumicino. Cattaneo : «Lo Stato deve fare di più, la cassa integrazione non basta»
«Vendite a meno 94,7%. Otto servizi al giorno contro i 120 a regime. Siamo al lumicino ma faremo di tutto per resistere». Lo afferma Flavio Cattaneo, vicepresidente di Italo-Ntv, la compagnia ferroviaria privata, in un’intervista a La Repubblica. «Questi numeri sono gli ultimi a disposizione (risalgono a lunedì 10 novembre). Una riduzione del servizio di queste dimensioni non può essere sostenuta solo dalle singole aziende», rimarca il manager.
Italo e «il deserto fuori»
«Le imprese vanno sostenute con forza. Premetto che è sacrosanto salvare vite. Questo secondo semi-lockdown è necessario e non sarò certo io a discutere delle scelte politiche. Quel che dico è che se salvi vite, giustamente, ma poi trovi il deserto fuori, lo Stato deve impegnarsi maggiormente». Lo Stato deve «dare e fare di più visto che la maggior parte delle entrate arrivano dal settore privato».
I numeri parlano chiaro
«Se muore il privato muore lo Stato», sostiene il vicepresidente di Italo-Ntv. «Noi oggi ancora attendiamo le risorse stanziate ai tempi del primo lockdown. I nostri dipendenti sono praticamente quasi tutti in cassa integrazione. Sono circa 1.500 persone che diventano 15mila con l’indotto che comprende i fornitori, la manutenzione dei treni, le imprese di pulizie, il catering, i quattro centri di manutenzione. Ecco, sarebbe già un passo avanti che il ministero dell’Economia firmasse quanto meno il primo decreto che risale al primo blocco di marzo».
«Siamo esclusi da eventuali ristori»
La situazione di Itali-Ntv è grave. «Almeno per tutta l’estate del prossimo anno ancora non ci saremo ripresi», dice Cattaneo. «Noi come migliaia di società. Le aziende come la nostra, quelle che non risiedono nelle zone rosse, sono escluse da eventuali ristori. Abbiamo dei ricavi quasi azzerati come si può immaginare. A fine anno saremo vicini ai 500 milioni di euro persi».
Italo, non serve la mera assistenza
«Se vuoi salvare il tessuto industriale devi investire nelle imprese e nella ripresa», aggiunge. «Così alla ripartenza non solo si avrà del personale pronto a tornare al lavoro a ritmi sostenuti ma si potranno anche prevedere delle nuove assunzioni. Ma se si resta in un regime di mera “assistenza” allora non si risolve nulla. Ma si rinvia il problema e i temuti fallimenti di molte aziende. Con tutte le conseguenze nefaste che seguono, ovvero i licenziamenti». Insomma, «non basta la cassa integrazione per superare la fase più critica della pandemia».