Giù le mani da Lucio Battisti. Vera o falsa la velina dei Servizi, ormai è uno di noi

24 Nov 2020 13:12 - di Mario Landolfi

Ma sì, lasciateci cullare nell’illusione che Lucio Battisti fosse uno di noi. Anzi, uno di “a noi”. E che quel «bosco di braccia tese» della Collina dei ciliegi altro non fosse che la trasfigurazione mistico-artistica di un’adunata oceanica. Per chi a destra nei Settanta aveva vent’anni o giù di lì, la silenziosa complicità del grande Lucio è tuttora più rassicurante della coperta di Linus. Ci aiuta a guardare a quella stagione tanto plumbea per la politica quanto feconda per la musica con occhio fiero e competitivo. La sinistra avanzava sulle note di El pueblo unido jamàs serà vencido? E la destra rispondeva con Il mio canto libero e Il nostro caro Angelo.

Lucio Battisti finanziatore dei “neri”?

Vera o falsa che fosse la velina dei Servizi che indicava Battisti come un finanziatore dei “neri”, ora come allora a noi quel dubbio basta e avanza. È ancora lì che ci dondoliamo pensando ai suoi ellepì come alla colonna sonora delle nostre giovanili passioni. E a noi come gli unici in possesso delle chiavi giuste per decifrare le sue note e i testi di Mogol, l’impareggiabile lato b delle nostre illusioni. Perciò, giù le mani da Lucio. Non ci interessa che il braccino corto lo rendesse antropologicamente incompatibile con il ruolo di oblatore per cause perse. Ci piace invece pensare che ostentasse apposta la propria parsimonia per farne corazza contro voci e sospetti in quegli anni difficili.

La destra ha amato senza riserve la sua musica

Che volete… siamo come il Gigi Proietti della mandrakata, scoperto mentre ritirava il premio dopo aver truccato la corsa dei cavalli. Lo ricordate? Mollò subito i soldi, ma si tenne stretto la coppa: «Questa lasciatemela. Giusto per poter dire almeno una volta: “Ho vintooo”». Ecco, per noi Battisti è uguale a quella coppa. È l’unico trofeo che può sventolare un’intera generazione altrimenti costretta alla quaresima canora dal monopolio rosso su artisti e cantautori. Un esercito sterminato che mandava in overbooking le Feste dell’Unità. Dall’altra parte, la nostra, poco e niente. Tranne, appunto, l’illusione di quell’immenso Lucio, le cui note rigeneratrici celebravano – chissà perché – «i canti delle genti nuove all’imbrunire». Da allora ancora lo respiriamo.      

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