Privatizzazioni, Prodi riaccende la polemica. Tra scalate ostili e shopping di Francia e Cina
Con l’intervista a Mezz’ora in più di Romano Prodi, ex presidente dell’Iri e premier a cavallo tra il 1996 e il 1998, ospite di Lucia Annunziata, ha riaperto il dibattito sulla contestatissima stagione delle privatizzazioni, affermando che il via a quelle da lui realizzate ebbero l’impulso dalla richiesta dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in quanto obblighi europei. Invero, le privatizzazioni, ovvero, il passaggio di aziende dal controllo pubblico a quello privato, hanno rappresentato per quasi tutti gli anni ‘90 del secolo scorso un “mantra”, la soluzione di due questioni sentite fondamentali per la crescita equilibrata del nostro Paese: il rientro del debito pubblico e l’ingerenza, ritenuta solo causa di inefficienza e corruzione, della politica nella vita economica.
Le privatizzazioni e il modo di fare cassa
Dunque, sotto un primo punto di vista, le privatizzazioni sono state considerate un modo per fare cassa e di risparmiare i costi di gestione e manutenzione che la proprietà pubblica comportava. In effetti però, ad oggi possiamo affermare, con certezza, che le dismissioni non sono state risolutive per la riduzione dell’enorme debito pubblico che dagli anni 90 ad oggi non sembra essersi praticamente ridotto ma al contrario è cresciuto enormemente (si è passati da un rapporto debito/pil degli inizi anni novanta pari a 94,70% ad un valore, nel 2019, del 134,80%).
I costi per la collettività
Peraltro, quanto ai costi di manutenzione e gestione, va considerato che non mancano esperienze che hanno evidenziato come il soggetto privato abbia assunto un ruolo prevalentemente predatorio, come le vicende giudiziarie relative al caso Autostrade sembrerebbero dimostrare. Infatti, troppo spesso la proprietà privata, evitando di effettuare con la dovuta regolarità le necessarie manutenzioni per tenere in piena efficienza il capitale, ha finito per scaricarne i relativi costi sulla collettività, mentre ha privatizzato gli utili. Il carattere predatorio assunto dai proprietari sulle ex aziende di Stato, peraltro, non sembra essersi limitato alla gestione dei Benetton, ma ha riguardato anche altri imprenditori, colpendo settori importanti per il Paese. Peraltro verso, una poco accorta politica di privatizzazioni ha avuto l’ulteriore conseguenza di rendere contendibili molte imprese italiane, strategiche per la sicurezza nazionale, o meglio, per la difesa degli interessi economici e per lo sviluppo tecnico-scientifico ed industriale dello Stato.
Le scalate ostili in Italia
La crisi economica, fattasi particolarmente feroce dal 2008, ha corroso la capacità di molti imprenditori italiani di sostenere la propria impresa e ha minato il loro patrimonio tecnologico, il marchio, la capacità di competere a livello internazionale, oltre a ridurre marcatamente gli investimenti in innovazione tecnologica, come la bassa produttività italiana dimostra. Già con la crisi dello scorso inverno, le pressioni da parte di gruppi esteri sulle nostre imprese non sono mancate. In Italia, le scalate ostili hanno investito il settore finanziario e assicurativo, come ha rilevato il Copasir (Comitato Parlamentare sui Servizi Segreti), che tra l’altro, nei sui documenti pubblici, evidenzia l’impennata di hostile takeover sulle nostre aziende ma anche di acquisizioni realizzate con l’infiltrazione di elementi al servizio di stati esteri nei CDA e nel top management di imprese strategiche italiane.
Lo shopping degli altri Stati
A fare shopping di nostre imprese, la Francia che ha già in passato acquisito molti marchi italiani nei settori dell’alimentare e della moda e che adesso concentra le sue attenzioni, con maggiori possibilità di successo che in passato, sul mondo bancario-assicurativo. Ma i pericoli non vengono solo dai cugini d’oltralpe ma anche dalla Germania, dalla Russia e perfino dalla Cina, che non mancano di attenzionare le nostre imprese strategiche e le grandi banche. In particolare al centro dell’attacco sembrano essere gruppi di importanza sistemica, come Eni, Tim, Generali, Unicredit, ed alcune Casse Locali ben capitalizzate, ma anche alcune reti di servizi per le imprese, qualche impresa manifatturiera export-led, soprattutto nel settore delle macchine automatizzate.
Privatizazioni e protezione delle imprese
È d’evidenza che tutto ciò palesa la necessità di intervenire con modalità straordinarie a protezione delle imprese, che vada ben oltre il pur importante provvedimento della scorsa primavera sul golden power che permette allo Stato di interporsi anche alle operazioni all’interno dell’Ue. In definitiva, occorre aprire gli occhi e vigilare a ché l’adesione convinta ai sani principi del mercato comune, non diventi, per alcuni Paesi ostili, il grimaldello da utilizzare per lo sviluppo delle loro imprese a scapito delle nostre. In effetti, se le azioni predatorie degli imprenditori “stranieri” sono sostenute o addirittura richieste (cosi come sembrerebbe) per soddisfare le istanze egemoniche di paesi “amici” con cui si dovrebbe, invece, condividere il percorso di una casa comune europea, sono necessarie azioni forti da parte del Governo tese a ristabilire un clima di convinta collaborazione e l’adozione nell’immediato di norme in grado di evitare lo shopping di aziende strategiche, come già avvenuto in un non lontano passato. E, tutto ciò passa anche per il mercato dei capitali, di cui la Borsa italiana è lo snodo principale.