Acca Larenzia, le motivazioni della condanna di Nardulli e Castellino: volevano “neutralizzare” gli estranei

8 Ott 2020 18:02 - di Redazione

Acca Larenzia 2019. “L’imperativo comune ai promotori della cerimonia e ai partecipanti era quello di neutralizzare eventuali soggetti che avessero avuto l’ardire di presentarsi in quelle circostanze”. E di “impedire a costoro una attività informativa e documentativa dell’evento”. Queste in sostanza le motivazione della pesante condanna a 5 anni e mezzo di carcere per Vincenzo Nardulli, esponente di Avanguardia nazionale, e il leader romano di Forza Nuova, Giuliano Castellino.

Acca Larenzia, le motivazioni della condanna di Nardulli e Castellino

I due sono accusati di lesioni e rapina aggravata e minacce al processo per l’aggressione al cronista dell’Espresso Federico Marconi. E al fotografo Paolo Marchetti. Avvenuta durante la commemorazione della strage di Acca Larenzia che si è svolta al cimitero del Verano a Roma il 7 gennaio del 2019.

I giudici: non era gradita la presenza di estranei

“Parliamo di una cerimonia – scrivono i giudici della prima sezione penale del Tribunale di Roma – in cui non era affatto gradita, in linea di principio, la presenza di estranei. E men che meno, poi, poteva essere tollerata la presenza di ‘ficcanaso’ degli organi di informazione. Tanto più se attestati su posizioni ideologicamente o politicamente contrapposte”. Sempre nella motivazione della sentenza di condanna dello scorso luglio si legge: “La prova di quella corale azione sinergica è fornita tra l’altro: dal contestuale intervento, una volta scoperta la presenza dei due ‘intrusi’, di svariati soggetti. A dare manforte al Nardulli e al Castellino. Dalla continua spola che Castellino faceva, come una furia, tra le due parti lese. Dalla circostanza che il cellulare sottratto al Marconi dal Nardulli ‘passa’ ad un certo punto nelle mani di Castellino”.

Acca Larenzia, l’accusa di lesioni e rapina aggravata

Nel corso della cerimonia in ricordo di Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti e Stefano Recchioni, gli organizzatori avevano chiesto al reporter di non fare riprese. Per evitare che il clima si surriscaldasse gli agenti di polizia hanno accompagnato il cronista fuori del cimitero. Inizialmente il giornalista ha dichiarato di non aver subito minacce o lesioni. In serata, però, insieme a un collaboratore del periodico, si è presentato agli uffici della Digos per denunciare l’aggressione. Secondo gli investigatori della Digos romana i due sarebbero stati accerchiati e aggrediti nel tentativo di recuperare il materiale registrato.

Castellino: è una sentenza giacobina

Una condanna che per i due esponenti della destra radicale è una medaglia. “E’ stata una sentenza giacobina, un vero plotone di esecuzione. Non paghiamo certo reati che non abbiamo commesso. E e a dirlo sono stati tutti gli agenti presenti al Verano, paghiamo la lotta a questo sistema”. Così Castellino nel giorno della sentenza.

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