Omicidio Fragalà, depositate le motivazioni della sentenza: Enzo ucciso perché combatteva la mafia
Sono state depositate sabato scorso dalla Corte d’Assise di Palermo le motivazioni della sentenza di oltre 600 pagine sull’omicidio Fragalà, lo stimato parlamentare di Alleanza Nazionale, docente universitario e noto penalista palermitano ferito a morte, a colpi di bastone, da Cosa Nostra la sera del 23 febbraio del 2010 sotto al suo studio legale, in via Nicolò Turrisi, di fronte al Tribunale di Palermo e, poi, deceduto tre giorni dopo all’ospedale del capoluogo siciliano dov’era stato ricoverato.
Il 30 marzo scorso la prima sezione della Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta aveva comminato quattro condanne e due assoluzioni accogliendo così, solo parzialmente, le tesi della Procura che riteneva, invece, tutti e sei gli imputati – collegati alla famiglia mafiosa di Porta Nuova – responsabili, a vario titolo, dell’efferato omicidio.
Alla sbarra erano finiti Antonino Abbate, che, all’epoca, era capomafia di Borgo Vecchio, Francesco Arcuri, Salvatore Ingrassia, Antonino Siragusa, Francesco Castronovo e Paolo Cocco.
Questi ultimi due erano poi stati completamente assolti dalla Corte d’Assise mentre Antonino Abbate era stato condannato a 30 anni di carcere, Francesco Arcuri a 24 anni, Salvatore Ingrassia a 22 anni, e Antonino Siragusa, al quale era stata riconosciuta la speciale attenuante prevista per i collaboratori di giustizia, a 14 anni.
Secondo la Procura di Palermo, che si è basata, fra l’altro, anche sulle dichiarazioni del pentito Francesco Chiarello, e che aveva chiesto l’ergastolo, l’omicidio Fragalà è avvenuto nell’ambito di una sorta di raid organizzato da Cosa Nostra per punire il penalista che spingeva i suoi assistiti a collaborare con la giustizia e ad infrangere il codice mafioso di omertà.
La ricostruzione dell’agguato da parte della Procura sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti – oltre a Chiarello anche Salvatore Bonomolo – vedeva Arcuri nel ruolo di organizzatore su richiesta del capo mafia di Porta Nuova, Gregorio Di Giovanni.
Abbate avrebbe fatto da “palo”, Siragusa ed Ingrassia avrebbero dato “calci e pugni” all’avvocato e poi avrebbero coperto Castronovo e Cocco che lo avrebbero preso a bastonate.
Ed è questa la tesi a cui ha creduto da sempre la Procura. Ma che non ha convinto i giudici.
Chiarello aveva, fra l’altro raccontato di aver saputo dell’agguato contro Enzo Fragalà proprio da Francesco Castronovo. Che quella sera si sarebbe presentato a casa sua con gli abiti sporchi di sangue. Una versione confermata poi anche da Rosalia Luisi, moglie di Chiarello.
Nel corso del processo di primo grado era anche emerso che Enzo Fragalà, quale difensore di fiducia del vigile del Fuoco, Vincenzo Marchese accusato di aver riciclato i soldi della mafia, aveva letto in aula una lettera della moglie del boss Di Gregorio con la quale la donna, svelando la provenienza illecita del denaro consegnato allo stesso Marchese, aveva, in qualche modo, preso le distanze dal marito.
La lettura in aula di quella lettera della moglie del boss da parte di Enzo Fragalà era stato considerato dalla mafia un gesto intollerabile. E, quindi, da punire. Di qui la spedizione punitiva a colpi di bastone sfociata nell’omicidio Fragalà.
La Procura riteneva credibile Chiarello mentre la Corte d’Assise ha dato credito alla narrazione di Siragusa che si è autoaccusato scagionando Francesco Castronovo e Paolo Cocco ma anche Arcuri che, invece, è stato condannato.
Fra l’altro le telecamere di un negozio Mail Boxes proprio a via Turrisi avevano inquadrato Ingrassia e Siragusa poco prima e poco dopo il delitto.
Per la Corte non è certo che fossero loro i due immortalati dalle telecamere.
Da una prima sommaria lettura delle oltre 600 pagine delle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Palermo emerge, dunque, che i giudici ritengono credibile il racconto di Antonino Siragusa e screditano, viceversa, le dichiarazioni di Chiarello.
Da questo punto di vista la Corte osserva che le dichiarazioni di Chiarello sono smentite dai testimoni oculari dell’agguato – testimoni che tuttavia vedono la scena quando è oramai già iniziata – perché tutti dicono di aver visto solo un aggressore lì in via Nicolò Turrisi accanto a Fragalà. Mentre il pentito Chiarello mette sul luogo dell’agguato tre persone: Ingrassia, Siragusa e Castronovo.
Chiarello aveva assegnato a Cocco, nel suo racconto ai magistrati della Procura, il ruolo di chi aveva portato il bastone per colpire Enzo Fragalà. E, sempre secondo Chiarello, Abbate aveva dato il via libera al pestaggio.
Secondo le motivazioni della sentenza, invece, Abbate è stato il materiale esecutore della feroce esecuzione.
C’è, viceversa, convergenza sul movente del delitto che è, sia per la Procura che per la Corte, di natura mafiosa.
I giudici della Corte d’Assise escludono, inoltre, l’aggravante della crudeltà in quanto sostengono che non è stato possibile accertare quanto colpi sono stati effettivamente inferti a Enzo Fragalà e con quale forza.