Grillo nel bunker dell’ironia che non fa più ridere: «Ecco il listino prezzi delle mie interviste»

17 Lug 2020 14:37 - di Marzio Dalla Casta
Grillo

L’ironia come bunker nei momenti topici. Il ritorno alla comicità come illusione di scansare le responsabilità della politica. È attore troppo consumato Beppe Grillo per non accorgersi che anche il “vai e vieni” dal suo antico mestiere è un copione ormai usurato da tempo. Neanche fa più ridere. E neppure incanta. Piuttosto irrita, come chi scaglia il sasso e poi nasconde la mano. Lui – Grillo – ancor di più perché fischietta addirittura. Più deludenti e imbarazzanti risultano le performance dei suoi Cinquestelle, più s’atteggia a Elevato per caso. E così, quando il gioco si fa duro, piuttosto che mettersi a giocare come farebbe un vero duro, lui dice e non dice, allude e ammicca.

Lo sfascio del M5S ricaccia Grillo nella comicità

A Di Battista che aveva chiesto il congresso, ha risposto evocando Il giorno della marmotta. Ancor più sibillino sulla ricandidatura della Raggi al Campidoglio: «Virgì, Roma nun te merita. Annamo via da sta gente de fogna». Un tatticismo degno di un pesce in barile. Sulla Raggi si sta consumando nel MoVimento la madre di tutte le retromarce. Il via libera alla ricandidatura della sindaca demolisce il tabù grillino del limite del doppio mandato. Una “libera tutti” gradito a tutti gli eletti, a cominciare da Di Maio, ma inviso a Di Battista, rimasto apposta fermo un giro. In teoria dovrebbe decidere Grillo. In teoria, appunto.

Il fallimento politico del MoVimento è anche opera sua

Accade così anche in queste ore, all’indomani del pasticciaccio della mancata revoca della concessione di Autostrade ai Benetton. Sul blog, infatti, parla d’altro. Per esempio, del nuovo “listino” per le interviste a sé medesimo. Lo ha pubblicato, spiega, «onde evitare strani appostamenti ed inseguimenti spiacevoli». Prezzi “rincarati”. Una domanda per giornali e rivista arriva a 5mila euro, 10mila (al minuto) per radio e tv.  Ancora l’ironia come controcanto al fallimento politico. Un modo (puerile) per mantenere le distanze e sentirsene assolto. Ma è fin troppo evidente – direbbe De Andrè – che vi è «per sempre coinvolto».

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