Giulio Maceratini, un grande uomo politico che non amava circondarsi di yes men

27 Lug 2020 9:10 - di Federico Gennaccari
Giulio Maceratini

Un senatore dell’antica Roma. È questa la prima immagine che mi viene in mente pensando a Giulio Maceratini. Tante volte glielo avevano detto i colleghi della stampa parlamentare che, con la tunica e la toga, non avrebbe sfigurato con Cicerone e gli altri personaggi ritratti nelle scene che affrescano la Sala Maccari di Palazzo Madama. Ne aveva il fisico, l’autorevolezza e l’arte oratoria. Aspetto burbero e severo, che nascondeva in realtà una persona dal cuore d’oro, sempre pronta a scherzare e a sdrammatizzare. Così nella primavera del 1994, alla sua prima legislatura al Senato, eletto nel collegio di Roma Centro, dopo 11 anni a Montecitorio, un collega lo apostrofò scherzosamente dicendo: «Altro che la Camera! Finalmente abbiamo un vero senatore». E lui prontamente rispondeva tra le risate generali: «Basta che non mi fanno fare la fine di un altro Giulio, Giulio Cesare», pensando al condottiero ucciso da una congiura mentre si recava ad una riunione al Senato.

Capogruppo al Senato per caso

Non doveva fare il capogruppo al Senato, ma Franco Servello, designato da Fini per tale incarico, in Lombardia non ce l’aveva fatta, arrivando solo primo dei non eletti per cui Maceratini, probabilmente destinato ad un incarico da sottosegretario del governo Berlusconi, si ritrovò a guidare il gruppo Msi-Alleanza Nazionale (questa la dicitura originaria). Per la Destra era il grande salto, passare dai 13 senatori del Msi ai 48 senatori di Alleanza Nazionale, passare dall’opposizione e l’emarginazione parlamentare (era un successo quando veniva accolto un ordine del giorno) e mediatica (le agenzie di stampa raramente passavano un comunicato, mentre i giornali indipendenti non davano spazio al Msi) ad un ruolo di governo. Un passaggio epocale che ora sembra lontanissimo.

«Non ho bisogno di yes men»

Non ero stato scelto da lui come giornalista, da novembre ’93 sostituivo Adalberto Baldoni eletto in Consiglio comunale al Campidoglio, e quindi dovevo fare un periodo di prova. Ricordo ancora quando un paio di giorni dopo, timidamente, gli feci un’osservazione su un comunicato. «Scusi presidente, ma, a mio parere,…» E lui subito: «Non ti preoccupare, dimmi… Non ho bisogno di yes men. Un politico che si circonda solo di persone che gli dicono sempre “quanto sei bravo” non sarà mai un vero politico». Così si ruppe il ghiaccio e seppi conquistarmi la sua fiducia. Ho imparato tanto da lui e dalle discussioni che intavolavamo sui discorsi da fare, sugli articoli da scrivere o anche solo sul confronto sui possibili scenari della politica italiana. Ho imparato ad essere garantista, ad apprezzare la politica come mediazione, rispettando sempre gli elettori, ma anche al fatto che la linea politica di un partito deve essere sempre più importante del leader politico.

Quando scelse di non candidarsi più

Ho trascorso a fianco di Giulio Maceratini sette anni da portavoce, dal 1994 al 2001, quando ancora convalescente per un’operazione, venne candidato alla Camera perché impossibilitato a fare la campagna elettorale in un qualsiasi collegio (per Montecitorio c’era il listino per il proporzionale), ma ho continuato anche dopo a stargli vicino, realizzando pure due numeri speciali di “Iniziativa” uno per il decennale di Alleanza Nazionale e uno per le polemiche dopo il referendum sulla fecondazione assistita. Ricordo ancora nell’ottobre 2004 quando mi disse che non si sarebbe più ricandidato perché ormai i partiti stavano degenerando in partiti del capo e lui, abituato alle  preferenze e ai collegi maggioritari, preferiva chiamarsi fuori.

La capacità di valorizzare le persone

In sette anni da portavoce solo una volta mi sono sentito dire: «Federico, questo comunicato deve uscire così. Il testo non si può modificare» e ricordo ancora le sue risate quando gli spiegai il test che usavo per verificare ogni comunicato: le parole della canzone “Prendilo tu questo frutto amaro” di Antonello Venditti (“E’ una questione politica: ‘na grande presa per….”). Valorizzava chi lavorava con lui. Riusciva a creare il clima migliore per lavorare e c’erano momenti in cui si lavorava ad oltranza come per le leggi finanziarie e la questione immigrazione dove vennero presentati migliaia di emendamenti per rallentarne l’iter. Non a caso col personale del gruppo del Senato, guidato dall’indimenticabile signora Onda di Crollalanza,fino al Natale 2005, ovvero per ben cinque anni dopo la sua uscita continuammo a fargli il regalo di Natale.

La sua discrezione e il metodo Di Bella

Mattutino, prima delle 8 arrivava in Senato dove cominciava a leggere i giornali, pronto a recarsi in commissione se c’era qualcuno da sostituire. Sempre disponibile con tutti i giornalisti, anche quelli stranieri in quanto parlava sia inglese che francese. Teneva molto alla sua vita privata e ricordo che dovetti fare una forzatura al tempo delle polemiche per il metodo della cura Di Bella. Maceratini era in prima fila ad ogni manifestazione ed era il più grande supporter del medico modenese in quanto una persona della sua famiglia, dimessa dal Regina Elena perché considerata terminale, portata da Di Bella era migliorata, recuperando una qualità di vita che l’aveva portata a vivere un anno in più rispetto alle previsioni. Dinanzi all’ennesimo attacco da parte dei Democratici di Sinistra che accusavano Maceratini e An di fare speculazioni politiche contro il ministro Bindi, gli chiesi il permesso di poter replicare, citando il caso personale senza entrare troppo nel dettaglio e, anche se gli pesò un po’ mi diede l’ok. Un ok amareggiato non tanto per il riferimento personale quanto perché i suoi avversari politici avevano pensato che potesse fare speculazioni politiche su una cosa così delicata come la salute.

La passione per la Roma

Maceratini è stato un grande tifoso della Roma, sempre presente allo stadio, sempre informato sul calendario delle partite. Gli capitava qualche volta anche di seguirla in trasferta, unendo l’utile al dilettevole: ovvero la mattina una manifestazione di partito e poi il pomeriggio allo stadio. Così in tempi di congressi provinciali e di campagne di An per sapere dove giocava la Roma, bastava vedere in quale città presenziava Maceratini. Amante del calcio non solo da tifoso, ha anche giocato e vestito la maglia della Nazionale, naturalmente quella dei Parlamentari, quando era alla Camera. Talmente romanista da non poter indossare la spilletta biancoazzurra anche se erano i colori del simbolo di Alleanza Nazionale. Ecco il rimedio la spilla di An in versione giallorossa dove l’azzurro era sostituito dal rosso e il bianco dal giallo. Una versione “eretica” tollerata dal laziale Fini per spillette realizzate in poche copie per gli amici più stretti.

L’amore per il ciclismo

Passione non solo per il calcio ma per tutti gli sport. Così il pomeriggio se gli impegni di aula e commissione lo permettevano, seguiva le tappe del Giro d’Italia e il Tour de France, e, salvo urgenze, nessuno poteva entrare a disturbarlo per cui bisognava aspettare l’arrivo della gara. Se poi Pantani vinceva era anche più contento, come del resto quando vinceva la Roma e poteva evitare gli sfottò dei colleghi juventini, interisti e laziali e anzi essere lui il primo a farne agli altri.

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