Pensioni, ufficiale il taglio del 2021-2022: ecco chi sarà penalizzato

13 Giu 2020 13:41 - di Alberto Consoli
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Non ci sono buone notizie sul fronte pensionistico. L’assegno sarà più basso per chi uscirà dal lavoro dal 2021; con una riduzione rispetto a quello attuale per via dell’abbassamento della quota contributiva. Lo ha stabilito il decreto del 1° giugno scorso relativo alla revisione triennale dei coefficienti di trasformazione di tale quota. Lo leggiamo su  laleggepertutti.it  Il decreto è stato pubblicato giovedì scorso sulla Gazzetta Ufficiale. Fino ad ora i coefficienti di trasformazione del montante contributivo erano compresi tra il 4,20% per chi lasciava il lavoro a 57 anni di età; ed il 6,513% per chi andava in pensione a 71 anni. Tali percentuali ora si riducono, rispettivamente, al 4,186% e al 6,466%. I valori dei coefficienti sono stati di nuovo trasformati in negativo: un trend negativo iniziato più di 10 anni fa e che non accenna a fermarsi. Tale doccia fredda su chi ha lavorato un vita avrebbe potuto essere risparmiata. Per chiarezza, i coefficienti di trasformazione sono quei valori utilizzati nel  calcolo contributivo della pensione: ovvero per quella quota di contributi maturata dopo il 1° gennaio 1996; o il 1° gennaio 2012 per coloro che entro il 31 dicembre 1995 hanno maturato 18 anni di contribuzione. Grazie ai coefficienti di trasformazione il montante contributivo accumulato dal lavoratore si traduce in pensione. Più il coefficiente è elevato e maggiore sarà l’importo della pensione. A tal proposito, la famigerata Legge Fornero ha introdotto un meccanismo che premia i lavoratori che escono più tardi dal mercato del lavoro: più è alta l’età del lavoratore, infatti, e maggiore sarà il coefficiente di trasformazione applicato. Un capestro, naturalmente. Un esempio: un’impiegata statale che va in pensione a 67 anni, con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 ;e con una quota contributiva dal 1° gennaio 1996 e un montante contributivo di 681mila euro. Il suo assegno complessivo passerà da 64.000 euro a 63.700 euro: cioè prenderà 300 euro in meno di pensione.

A chi va un po’ meglio

Va leggermente meglio a chi ha accumulato nell’arco della sua vita lavorativa almeno 18 anni di contributi entro la fine del 1995.  La quota contributiva si calcola dal 1° gennaio 2012;  e, pertanto, a fronte di un montante contributivo di 100mila euro; derivante da uno stipendio annuo di 30mila, la quota C di pensione scenderà da 5.604 euro a 5.575 euro; con un taglio non doloroso di 29 euro lordi annuali. Anzi: per loro l’impatto potrebbe essere nullo. Per effetto del doppio calcolo previsto dalla legge n. 190/2014, dove non è prevista la quota contributiva. I nuovi coefficienti non interesseranno dal 1° gennaio 2021 le pensioni attualmente in vigore o quelle a cui si accederà fino alla fine di quest’anno.

Trend negativo

Siamo alla quinta revisione dei coefficienti di trasformazione – leggiamo su Money. it – dal 2019; da allora ogni modifica è stata in negativo; e lo stesso vale per quella valida per il biennio 2021/2022 annunciata nei giorni scorsi. Lo svantaggio è, quindi, saranno coloro che andranno in pensione nei prossimi due anni, i quali riceveranno un assegno inferiore a chi invece ci andrà entro la fine del 2020. La differenza sulla pensione annua in realtà non è enorme;, ma se guardiamo il trend iniziato nel 2009 ne risulta che da allora l’assegno annuo di pensione ha subito un taglio del 12%. Va da sé che l’unica soluzione per è quella di restare al lavoro più anni, così che sul montante contributivo venga applicato un coefficiente di trasformazione più favorevole. Il coefficiente massimo, come si può vedere dalla tabella precedente, si applica infatti per coloro che restano a lavoro fino ai 71 anni. Non è uno scenario roseo.

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