Libia, i turchi sconfiggono Haftar a Tarhuna. Di Maio ridicolo: «No alle armi, sì al dialogo»

6 Giu 2020 15:44 - di Niccolò Silvestri
Libia

Poche istituzioni sono più inutili dell’Onu. Poche altre sono più assenti della Ue. E nessun governo al mondo è capace di raggiungere le vette di ridicolaggine scalate da quello italiano. Prova ne sia la guerra in Libia. La nostra ex-colonia è contesa tra il generale Haftar, forte del sostegno russo-egiziano, e il presidente al-Serraj, appoggiato dalla Turchia. Serraj era riconosciuto dall’Onu, garantito dall’Italia e anche dagli Usa. Quando sembrava che non avesse scampo di fronte alla tambureggiante avanzata del nemico, lo hanno lasciato solo. Per tutta risposta, il presidente libico ha stretto con la Turchia quello che gli stessi contraenti hanno battezzato come il “patto del petrolio“. Erdogan  non ha lesinato mezzi né uomini ribaltando le sorti del conflitto, come dimostra la presa Tarhuna, roccaforte strategica di Haftar a circa 80 km a sud-est di Tripoli.

Erdogan “prenota” la ricostruzione in Libia

Bene, mentre da sponde opposte russi, egiziani e turchi si contendono le spoglie della nostra ex-colonia, già forse prefigurandone lo smembramento come soluzione alla fine del conflitto, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio lancia gli appelli al dialogo.  Solo qualche ora fa a Berlino, a margine di un altro inutile incontro, ha definito il dialogo come «l’unica opzione possibile». È evidente che non l’hanno informato che la guerra è alle sue battute finali. La notizia è che l’abbiamo già perduta. L’inazione del nostro governo, aggravata dal velleitarismo del premier Conte, hanno costretto al-Serraj a sbatterci la porta in faccia. A guerra finita, a ricostruire la Libia martoriata difficilmente vedremo imprese italiane. Ce n’erano tante dopo il trattato d’amicizia stipulato da Berlusconi e Gheddafi. Troppe forse per non suscitare la reazione di Nicolas Sarkozy. Fu solo per questo e non per appoggiare le sedicenti ed eterodirette “primavere arabe” che la Francia rovesciò violentemente il regime del Colonnello.

E Malta ci “sfratta” dal Canale di Sicilia

Il resto è storia nota. La Libia è una terra insanguinata ed è la base da cui partono i barconi carichi di migranti. Anche questo specifico punto fa registrare novità di rilievo. Malta e Libia, infatti, hanno sottoscritto un memorandum che impegna i due Paesi a collaborare nella «lotta all’immigrazione clandestina in Libia e nel Mediterraneo». Si parte subito, con la piena operatività già a luglio di “centri di coordinamento” nel porto di Tripoli e a La Valletta. Grazie a tale accordo, che contempla anche fondi aggiuntivi Ue alla Guardia costiera libica, il controllo del Canale di Sicilia è affare esclusivo dei due governi. È evidente che Bruxelles non ha più scrupoli sul rispetto dei diritti umani in Libia. Così come è evidente che, a breve, per raggiungere Lampedusa l’Italia dovrà chiedere il permesso a Malta.

 

 

 

 

 

 

Commenti

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  • giovanni vuolo 7 Giugno 2020

    La Libia non è l’Italia. Lì le frasi fatte e le banalità non servono a niente.