La Regione Lazio gioca sulla pelle dei pazienti psichiatrici. Zingaretti si mette guai

15 Giu 2020 11:17 - di Michel Maritato
Zingaretti

Malati psichiatrici, la Regione Lazio snobba il Consiglio di Stato. Ignorata, a tutt’oggi, la sentenza 8608 del 19 dicembre 2019 della Terza sezione della suprema magistratura amministrativa: con questa  si cancellano due provvedimenti regionali che istituivano il pagamento del 60 per cento della retta per le strutture riabilitative socio assistenziali per malati psichiatrici seguiti nell’arco delle 12 o 24 ore. L’allarme arriva dalle associazioni dei familiari degli assistiti. Che si dichiarano “indignati per il comportamento della regione che sta mettendo a rischio il futuro di quasi 700 pazienti”.

Tutto nasce con due provvedimenti: il decreto 562 del 2015, firmato dal presidente Nicola Zingaretti in qualità di commissario ad acta per la sanità; e la delibera di giunta 395 del 2017, con cui si stabiliva la compartecipazione alla spesa per l’assistenza da parte delle famiglie e dei comuni nei centri di recupero. La complessa normativa che regola tali servizi deriva da un accordo della Conferenza Stato Regioni del 2013; che suddivide le strutture riabilitative in tre livelli: a bassa, media e alta intensità assistenziale: secondo le peculiarità degli interventi, le fasce orarie di attivazione dei servizi, i percorsi clinici territoriali messi in campo. Il tutto deriva dalla riconversione delle case di cura neuropsichiatriche, con una differenziazione che ha generato difformità di trattamento anche sul piano economico.

Così, per gli interventi a “bassa intensità” la compartecipazione alla spesa è sempre prevista. Ma la Regione Lazio, con i due provvedimenti citati per motivi legati al piano di rientro dal deficit sanitario, ha pensato bene di estendere la gabella anche ai servizi riabilitativi. “Una valutazione meramente ragionieristica – sostengono i rappresentanti delle associazioni –. Un intervento illegittimo che ha prodotto tantissimi disagi agli utenti psichiatrici e ai loro familiari”.

Così Roma Capitale ha deciso di presentare ricorso avverso la Regione Lazio, la presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero della Salute. E ha vinto nel secondo grado di giudizio. Come avviene sovente però, e nonostante la inappellabilità della sentenza, sulla salute della fascia più fragile dei cittadini l’hanno spuntata i ragionieri di via Rosa Raimondi Garibaldi. Che a tutt’oggi, non hanno ottemperato a quanto previsto nel dispositivo della decisione dei giudici di palazzo Spada. Una decisione pesante per le casse regionali, che debbono rimborsare agli utenti e ai comuni oltre 11,5 milioni di euro perché la sentenza è retroattiva, oltre a stanziare l’importo per l’annualità 2020 di 108 euro giornalieri per gli utenti dei centri impegnati nelle 24 ore e 81 euro giornalieri per gli altri seguiti nelle strutture attive nelle 12 ore quotidiane. Massima incertezza quindi sui tempi dell’erogazione, considerato che gli assistiti nel Lazio ad “alta intensità” sono 549, di cui ben 498 in strutture private accreditate mentre i pazienti seguiti nella fascia giornaliera delle 12 ore sono 118, per un totale di 667.

Una brutta gatta da pelare per Zingaretti e colleghi. Considerate anche le ultime vicende legate all’emergenza Covid-19, al mancato arrivo delle mascherine con 14 milioni anticipati alla società fantasma – di cui 13 andati in fumo –. Poi l’inchiesta sui ventilatori polmonari la cui consegna è stata in parte bloccata; i nuovi focolai di contagio esplosi in case di cura accreditate dalla Regione.

I giudici però, di fronte al diritto alla salute non hanno ceduto e, ai criteri ragionieristici e alle necessità di un ente in fibrillazione per il rientro dal debito, hanno privilegiato le motivazioni che vedono in primo piano la garanzia dei cittadini a vedersi riconosciute le prestazioni relative ai livelli essenziali di assistenza, contro i quali non c’è deficit regionale che tenga. E i comitati delle famiglie, affiancati dai loro legali, sono pronti a dare battaglia per la esigibilità di un sacrosanto diritto.

 

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